Per secoli, la scienza ha seguito un protocollo preciso. Gli scienziati si chiudono nei loro laboratori, spesso consumando un’intera vita tra provette ed equazioni, alla ricerca di buoni risultati, raramente ottimi, da raccogliere in articoli poi proposti a giornali scientifici. Una volta ricevuto l’articolo, l’editor del giornale scientifico contatta due o più esperti del campo per valutare la ricerca. Un processo (che prende il nome di Peer Review) che può durare mesi, durante i quali viene chiesto agli autori di correggere l’articolo o di rivedere la propria ricerca. Il Peer Review non è un metodo perfetto. Per esempio, i reviewer, gli esperti che valutano la ricerca degli scienziati, sono anonimi e non è facile controllare che il loro lavoro sia svolto secondo un’etica professionale impeccabile. Anche gli scienziati sono uomini: chi ci assicura che la valutazione sia fatta in maniera etica? O, a voler pensar male, chi ci assicura che un reviewer valuti la ricerca di un diretto concorrente senza cadere nella tentazione di bocciarla per trarne un vantaggio personale?
Quando l’articolo viene giudicato pubblicabile, agli scienziati viene spesso richiesta una somma di danaro, che può anche ammontare a diverse migliaia di euro, per coprire i costi di pubblicazione, specie se nell’articolo sono presenti figure e grafici a colori. Gli scienziati pagano due volte: per pubblicare un lavoro e per leggere il lavoro di altri scienziati.
Open Science: un altro sistema è possibile?
Il sistema con cui la ricerca viene diffusa sarebbe “ideale, se stessimo ancora usando una tecnologia del 17esimo secolo”, afferma Michael Nielsen, fisico quantistico australiano e membro della Open Knowledge Foundation. Michael Nielsen è un sostenitore della open science. Riducendo per esempio i costi di pubblicazione ed evitando che il sapere scientifico sia custodito da pochi “gatekeeper”, la scienza procederebbe a un passo molto maggiore, specie in un ambiente collaborativo libero basato sull’uso della rete. Un’idea che comincia a fare presa: sono tanti i giornali e gli archivi “open access” di una certa rilevanza. Per citarne solo un paio: arXiv, Public Library of Science (PLoS). Parte della comunità scientifica è però ancora scettica, perché teme che un approccio più “aperto” perda un aspetto fondamentale della ricerca scientifica, la valutazione e la validazione del lavoro di uno scienziato. Dubbi alimentati dai risultati sconcertanti dell’esperimento condotto da John Bohannon.
Research Gate: il facebook degli scienziati
Nel 2008 Ijad Madisch ha fondato Research Gate, una startup ora di base a Berlino, allo scopo di rivoluzionare la cultura scientifica, favorendo l’interazione online tra scienziati e rendendo la scienza “more open”. Sembra una pazzia, ma l’idea di Ijad Madisch è quella di vincere il Premio Nobel attraverso la realizzazione del suo progetto.
In pochi anni, Research Gate ha riscosso un ottimo successo: il numero di utenti cresce di circa mille unità al giorno, superando ormai i tre milioni; nel giugno del 2013 il Mr. Microsoft ha investito ben 35 milioni di dollari nel progetto. Research Gate è una startup che sembra aver fatto il salto di qualità.
Come funziona?
Un utente può iscriversi al social network solo se appartiene a un’istituzione accademica o se riesce a dimostrare di essere un ricercatore attivo. L’utente ha quindi un profilo su cui può elencare le proprie pubblicazioni (un algoritmo completa il processo), seguire altri scienziati, postare domande su un preciso argomento, intavolare una collaborazione a distanza, pubblicare dati scientifici inediti. Il profilo di un utente viene poi valutato con l’RG score, un sistema di valutazione che tiene conto dell’interazione dello scienziato con la comunità, il numero e la qualità delle sue pubblicazioni. Nonostante alcune critiche (sorry, post in tedesco!), non è da escludere che l’RG score possa diventare una “misura obiettiva” della qualità di un ricercatore.
Un aspetto molto interessante e che fa rizzare i capelli a molti miei colleghi è la possibilità per gli scienziati di pubblicare risultati negativi. Il team di Research Gate spinge gli scienziati a farlo perché ritiene (e sono d’accordo) che discutere sulle ragioni per cui alcuni metodi non funzionano sia importante almeno quanto pubblicare una ricerca perfetta ed elegante. Seppur fondamentali per accelerare l’avanzamento della scienza, i risultati negativi, come sanno coloro che lavorano nella ricerca, rarissimamente vengono accettati dai giornali scientifici. In alcuni casi, questo induce gli scienziati a, diciamo così, abbellire i “propri numeri” per incrementare le chance di pubblicazione. Ebbene sì: anche gli scienziati imbrogliano!
La mia esperienza con Research Gate
Da quando l’ultimo anno sono diventato un utente attivo, ho visto crescere Research Gate sotto i miei occhi. Ho notato come i miei articoli siano più letti e come sia per me molto più semplice seguire la ricerca di altri scienziati. Seguo con attenzione la sezione Q&A (questions and asnwers), perché spesso trovo consigli utili su come risolvere problemi a volte anche molto tecnici. La pagina del mio profilo è facilmente consultabile e sempre (automaticamente) aggiornata; raccoglie tutte le mie pubblicazioni scientifiche e fornisce una serie di statistiche con cui è più facile osservare l’andamento della mia carriera.
Ho capito che Research Gate avrebbe davvero sfondato quando, qualche mese fa, ho ricevuto la richiesta di “amicizia” dal leader del mio gruppo di ricerca. Un professore di fisica non più nei suoi anni… ehm… verdi, un po’ all’antica e, come la maggior parte della comunità scientifica, piuttosto scettico nei confronti dei social network per scienziati.
Spero davvero che Research Gate riesca nell’intento: mi piacerebbe assistere (e magari partecipare) a una rivoluzione epocale, che dai metodi scientifici del 17esimo ci conduca a una social science aperta e accessibile a tutti.