Residue - Recensione

Creato il 20 febbraio 2016 da Lightman

Natalia Tena, Iwan Rheon e Jamie Draven sono i tre protagonisti di Residue, miniserie di marchio Netflix ambientata in un prossimo futuro distopico, tra atmosfere horror / mystery.

Regno Unito, prossimo futuro. In una grande città durante la vigilia di capodanno una discoteca viene completamente distrutta in seguito alla deflagrazione di una bomba, che ha causato centinaia di vittime. Le autorità evacuano l'intero quartiere circostante delineandovi inoltre una zona di quarantena, in quanto l'esplosione avrebbe coinvolto anche un deposito di armi chimiche sotterraneo.
Jennifer e Jonas, compagni nella vita e rispettivamente affermata fotografa e portavoce del ministro addetto alle comunicazioni con l'opinione pubblica, cominciano a indagare privatamente su quanto realmente accaduto. La prima, dopo aver notato nelle sue foto il cambiamento che sta avvenendo nella popolazione, comincia a ritenere che il governo stia nascondendo qualcosa; ad aiutarla nelle sue ricerche vi è Mathis, un tenace poliziotto la cui figlia adolescente è morta nell'attentato. Jonas intanto comprende come il governo stia realmente nascondendo qualcosa sulle vere cause della quarantena.

La verità è là dentro

Prodotto strano già per la sua stessa genesi, che lo ha portato dalla realtà del grande schermo (con uscita limitata in sala) ad essere allungato in una breve miniserie televisiva, Residue è tra i progetti più particolari della scorsa stagione. Trasmesso su Netflix, che ha già garantito una seconda stagione più lunga (ben più che auspicabile dopo l'epilogo aperto), questo ibrido ha indubbiamente dei punti di forza ma anche di debolezza, che lo rendono tanto affascinante quanto imperfetto.
Se il tema del complotto governativo atto a insabbiare la verità non aggiunge nulla di nuovo al filone distopico, a interessare maggiormente sono le atmosfere pseudo-horror che percorrono la trama e che omaggiano, più o meno volutamente, alcuni classici moderni dell'horror orientale, in particolare due titoli cult entrambi oggetto di infelici remake hollywoodiani, come Kairo (2001) di Kiyoshi Kurosawa e il thailandese Shutter (2004). Macchie nere sul muro dalle quali fuoriescono inquietanti entità (realizzate con più che discreti effetti speciali) e l'utilizzo delle fotografie per venire in parte a capo del mistero sono infatti due degli elementi chiave della trama.
La sceneggiatura purtroppo si perde in più occasioni in passaggi incoerenti e forzati, con una gestione non del tutto oculata del trio di figure principali, collegate tra di loro senza una vera e propria logica plausibile; questo non evita comunque di offrire spazio a sequenze assai suggestive, come quella del locale notturno segreto nel quale avviene la feroce possessione di una ragazza asiatica. Con un'ambientazione quasi totalmente notturna, sia negli interni che negli esterni, che sfrutta con una certa consapevolezza le scenografie claustrofobiche della zona di quarantena, una colonna sonora suadente e ipnotica che ben si adatta al contesto e un'atmosfera in crescendo i difetti di trama si fanno parzialmente perdonare, si viene condotti a un finale con molta carne al fuoco che speriamo venga degnamente proseguito.
Natalia Tena e Iwan Rheon, conosciuti dal grande pubblico per i loro ruoli ne Il trono di spade (rispettivamente Osha e Ramsay Bolton) si muovono poi (soprattutto la prima) con navigata disinvoltura nei panni di investigatori improvvisati atti a scoperchiare il velo di bugie di una dittatura sottotraccia (ben rispecchiabile nei tempi attuali) e il poliziotto di Jamie Draven è badass quanto basta; peccato che nella limitata lunghezza di questa opening season le caratterizzazioni non abbiano potuto indagare più a fondo sui loro personaggi. Da notare infine come il blog curato da Jennifer sia realmente navigabile sul web al link http://somethingishappeningtous.com, nella migliore tradizione del marketing virale degli ultimi anni.

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