alba di liberazione.
L’attività clandestina fatta da tanti anni nella Piaggio di Pontedera da gruppi di operai esplose clamorosamente il 25 luglio 1943, quando la radio disse che Mussolini era stato arrestato e che il fascismo era caduto; gli operai si fermarono, un attimo di perplessità e poi via in tutti gli uffici e nei piazzali. Tutti i quadri dei fascisti, le insegne, le scritte finirono nel fuoco o furono cancellate. Sembrava che tutto fosse finito, c’era gioia, contentezza fra tutti, la guerra sembrava finita. Ma anche in questo momento il Governo mostrò la sua volontà. D’accordo via il fascismo, però niente doveva cambiare. Infatti il primo atto fu quello di far nuovamente arrestare gli antifascisti. Il 26 luglio i carabinieri si presentavano alla portineria e arrestavano il Sindaco socialista di Pontedera e il segretario della Federazione Giovanile Comunista e un gruppo di giovani che erano stati i più attivi il giorno prima. Furono chiari i propositi dei nuovi governanti. Bisognava riprendere l’attività clandestina contro il nuovo governo e contro la guerra.
Dicembre 1943: i tedeschi occupavano l’Italia. Un gruppo sparuto di pontederesi aveva ricostruito il fascio repubblichino e sembrava che l’ombra dell’aquilone schiacciasse di nuovo Pontedera. Nella Piaggio (allora gli operai occupati nello stabilimento erano oltre undicimila) un gruppo di operai lavorava accanitamente per costituire il Partito Comunista. Difficile era il lavoro clandestino; fuori i tedeschi con i mitra e la minaccia di deportazioni; dentro i repubblichini, le spie, i ruffiani pronti a denunciare. Bisognava muoversi, dovevamo allinearci al Nord, ai compagni operai delle grandi fabbriche. Nel gruppo dei comunisti corse la parola: < Bisogna fare sciopero! > Molti di noi domandavano < Cos’è lo sciopero?! > Vent’anni di fascismo avevano fatto dimenticare questa parola. < Come si organizza? > < Lo faranno gli operai?? > < Ci seguiranno??? >. Se non fosse riuscito, per molti voleva dire la deportazione o forse peggio. Ma bisognava farlo!! La Commissione interna allora era diretta da un vecchio socialista che si disse pronto. Le parole correvano fra le macchine: < Via i tedeschi. Vogliamo il pane per i nostri figli. Più salari per tutti; abbasso la guerra!! >. Questo dicevano gli operai. Ma riuscirà lo sciopero?
23 Dicembre – ore 10: con la tracotanza solita i dirigenti dicono che non avrebbero pagato il salario. I compagni si guardano; il capo della Commissione interna, dagli sportelli del magazzino, fa strani segni, sembra che voglia spiegare qualcosa con le mani. Che dici?? Sciopero, cessate il lavoro. E’ questo che ci diciamo con gli occhi. Un attimo, un pensiero a cosa fare e poi via fra le macchine. Alle 11 le macchine dei compagni si fermano, martelli cessano di battere le lamiere. Ci guardiamo con gli altri, solo alcuni secondi poi lo stabilimento si ferma. Abituati al chiasso, quel silenzio ci pesa sul cuore ma ci fa bene: ci siamo. I vecchi piangono dalla gioia; noi li guardiamo e ne siamo fieri. Visco abbraccia i compagni accanto. I distintivi dei repubblichini volano nelle stufe interne dello stabilimento. Portos << l’ingegnere >> ha paura, è bianco e rimpiatta le baldanzose fotografie. Un dirigente va dal << biondo >> e gli dice: Lavora!!, e gli attacca la macchina. E’ un attimo. Il << biondo >> gli dà una botta nella mano, ferma la macchina e gli dice : << si levi di qui. E’ sciopero!! >> . << L’ingegnere >> si guarda attorno e scappa. Contemporaneamente corre la voce che i tedeschi hanno circondato lo stabilimento. Non c’è timore, lo sciopero continua, nessuno si muove.
Ore 16: riunione nel refettorio. Il segretario della Commissione interna dice: << Compagni, abbiamo vinto. Piaggio ha ceduto. La vostra unità lo ha piegato >>. Neppure i tedeschi hanno il coraggio di fare repressioni. E’ veramente la vittoria. Anche noi abbiamo chiesto: pane, benessere e pace. Da quel momento le lotte furono più frequenti. Gli operai della centralina, la nuova arma che doveva dare la possibilità di abbattere gli apparecchi alleati, scioperarono a più riprese, così pure l’officina dei mozzi. Furono le lotte che prepararono i partigiani, i gappisti e i sappisti. Infatti su al Nord come in Toscana gli operai della Piaggio furono, assieme agli altri, i fautori della Resistenza. -Manlio Citi, La Resistenza operaia alla Piaggio di Pontedera-
C A L V A R I O
Inquiete pupille frugarono
lontani e vuoti orizzonti
inseguite da visioni paurose.
Torturati piedi
pestarono gelide nevi
senza speranza di sosta
in quell’inverno rabbioso
ululante da orride gole
tedeschi grida di resa.
Dal Montenegro impervio
alle bianche lande
della Bosnia infida
solo Dio
vide membra intirizzite e scarne
infiammarsi alle lotte
ed abetaie silenti
infuriarsi di spari
e scaldarsi di sangue.
Pochi vedemmo il nuovo sole
scioglier le nevi
e con le nevi il sangue.
Ceme bella appare a noi
la primavera!
Come triste il ricordo
di quei morti!
Partigiani.
… e muti fra le soste di fuoco
ornammo di rozze croci
l’umide fosse.
Nell’agosto
inseguiti
ci videro
i superbi gioghi del Durmitor.
Il sole alto sulle chine teste
e intorno odor di secco
torturarono le gole.
Inseguiti ci videro
i verdi altipiani di Negobudje
e i pallidi fiori
s’arrossarono di morte.
Pochi restammo alle future ire
dei nemici e del tempo
ma il cielo generoso d’azzurro
a noi riflesse
la lontana terra
e quella terra ravvivò il fuoco
per l’ultime battaglie.
Inseguitori impaghi
ci videro le nevose groppe
da Gacko a Nevesinje
da Mostar a Sarajevo
fino a mozzare l’ira nemica
in cupe deserte forre.
Solo noi pochi
vedemmo i morti
solo noi pochi
esultammo di libertà
e invasi da spirito nuovo
sciogliemmo al vento
canti per nuove lotte.
-Plinio Bianchi-
(1946)
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