Resoconto del concerto live di Niccolò Fabi al Teatro Dal Verme di Milano

Creato il 07 febbraio 2013 da Alessiamocci

Lunedì 4 febbraio 2013. Partiamo dalla fine, perché a volte è il miglior punto di vista, e non si tratta di dietrologia o senno di poi, è soltanto una questione di assimilazione. Partiamo dalla fine quando al termine di una sentitissima esecuzione di “Ecco”, title-track del suo ultimo album, Niccolò Fabi saluta e ringrazia gli spettatori del Teatro Dal Verme di Milano, e tutto il pubblico si alza in piedi e lo investe con un applauso che sembra non volersi interrompere mai.

Lui è spiazzato, resta fermo, mentre il resto della banda saluta, incita e ride, lui se ne sta lì, con le mani in tasca a fissare la folla, visibilmente commosso tanto da non riuscire a dire nemmeno una parola.

A pensarci bene è in questi piccoli anfratti di umanità che ci si rende conto di quanto la musica non sia soltanto una questione di soldi o di immagine, che un concerto possa essere qualcosa in più di una semplice occasione per divertirsi e cantare insieme, ma un’opportunità per sentirsi tutti uniti, scambiandosi emozioni e vibrazioni intense, talmente intense da far commuovere persino chi dopo 20 anni di carriera a certe cose ci dovrebbe essere in qualche modo abituato.

È proprio questo quello che è successo nella serata di lunedì 4 febbraio in quel di Milano, uno scambio di emozioni in musica: per 2 ore le circa 1500 persone assiepate nella Sala Grande del teatro meneghino sono state coinvolte in uno spettacolo che è andato oltre la mera esecuzione dei brani, e oltre il concetto di concerto a cui si è abituati. In questo senso la location è perfetta già di per sè: un palco che non è un palco, nessuna megastruttura, nessun rialzo che ponga l’artista – fisicamente e, di conseguenza, anche concettualmente – su una sorta di piedistallo, e per forza di cose lo spettacolo si sviluppa con logiche differenti, secondo le quali nessuno sta al centro della situazione, ma ci si ritrova invece tutti insieme come una nutrita compagnia di amici, ad ascoltare una musica che ci fa conoscere un po’ meglio gli uni con gli altri, ma soprattutto ci fa conoscere meglio noi stessi, aiutando ciascuno a guardare un po’ dentro di sè.

La serata inizia con Roberto Angelini che, accompagnato da Mr. Coffee, esegue una manciata di brani intensi e sentiti e si guadagna il meritatissimo applauso del pubblico. Una breve uscita di scena e poi i due rientrano, questa volta insieme a Niccolò ed alla sua band. Da qui in avanti lo spettacolo entra nel vivo e le vibrazioni si fanno ogni minuto più intense. Si apre con “Indipendente” e si chiude con “Ecco”, entrambe estratte dall’ultimo album del cantautore, album che, come è giusto che sia, viene posto al centro dello spettacolo, salvo lasciare lo spazio ai classici ed ai brani più sentiti e apprezzati dei precedenti lavori, ma – come detto in precedenza – non è di mera esecuzione che si tratta e non è la scaletta che interessa, ma il percorso, un percorso che ci porta su terreni dritti e sicuri come su altri sconnessi e un po’ rischiosi, come quando Niccolò prende la parola dopo aver eseguito i primi brani, e spiega che l’ambizione di chi ha la fortuna di fare il teatrante è quella che lo spettacolo diventi l’occasione per isolarsi – anche se per poco tempo – dal mondo esterno e viaggiare verso luoghi diversi, ed allora annuncia che per le successive 3-4 canzoni “Saliremo su una specie di grande astronave, e faremo un viaggio, verso un luogo profondo e anche un po’ pericoloso, ma che spesso bisogna visitare ed affrontare. Il luogo è Dentro.”

È una quartina che spiazza e lascia sgomenti: “Dentro”, “La promessa”, “Solo un uomo” ed “Elementare”, brani intensissimi che nel contesto intimo della serata diventano ancora più vibranti, ancora più potenti, ancora più emozionanti. C’è chi canta – a bassa voce, non è certo il caso di urlare ed agitarsi – ma i più restano ad ascoltare, colpiti da una poesia che davvero trasforma il teatro in un’astronave, e che ti trascina giù, negli anfratti più profondi di te stesso, a riscoprire emozioni che volutamente o inconsciamente erano finite relegate in un ghetto del cuore, i fari dell’astronave le illuminano per un attimo, abbastanza da far risvegliare i ricordi, ma non abbastanza da esserne completamente risucchiati, e poi su rapidamente, verso la superficie. È lì che troviamo il “Vento d’estate” che ci fa rifiatare un po’, troviamo un accenno di “Capelli” che mette un poco di allegria, e poi ancora emozioni forti con Quella Bella, come dice lui stesso, “Perché questa è quella bella!”, e come dargli torto quando si riconosce l’attacco di “Costruire”?

Con “I cerchi di gesso” siamo già al giro di boa e nemmeno ce ne rendiamo conto, perché oramai non sentiamo più di essere ad un concerto, ma pare piuttosto una bella serata tra amici, di quelle in cui l’orologio che avanza è l’ultimo dei tuoi pensieri, e allora – dopo l’immancabile “Oriente” – Un “nooo!” corale travolge Niccolò quando dice “Ora è il momento di lasciarsi“, anche se tutti sanno che è soltanto la rampa di lancio per il delirio di “Lasciarsi un giorno a Roma“, altro must che fa alzare in piedi e saltare tutto il teatro. Ora Niccolò e soci salutano ed escono per poi – naturalmente – rientrare, i botti finali si fanno sempre più vicini ma l’atmosfera densa e avvolgente dello spettacolo non accenna a diradarsi, prima della chiusura di “Ecco” si passa per “Fuori o dentro”, per la parentesi tremendamente passionale di “Una buona idea”, e per quella “Il negozio di antiquariato” che resterà stampata in testa per molto tempo.

Sono i botti finali, si chiude davvero stavolta, l’astronave rientra alla base e tutti i passeggeri si alzano in piedi per un lungo applauso, che non è altro che il miglior modo per dire grazie, il viaggio è stato splendido e c’è poco altro da aggiungere. Tornando a casa resta attaccata alla pelle la sensazione di aver trovato uno scrigno di calde emozioni nel pieno centro della fredda Milano, ed un sorriso si stampa sul volto quando nella mente risuona una frase: “Raro è trovare una cosa speciale tra le vetrine di una strada centrale. Per ogni cosa c’è un posto, ma quello della meraviglia è solo un po’ più nascosto“. Raro, sì, ma a volte succede….

Written by Emanuele Bertola


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