(The Revenant)
Regia di Alejandro González Iňárritu
con Leonardo DiCaprio (Hugh Glass), Tom Hardy (Fitzgerald), Domnhall Gleeson (capitano Andrew Henry), Will Poulter (Jim Bridger), Forrest Goodluck (Hawk), Paul Anderson (Anderson), Lukas Haas (Jones), Duane Howard (Elk Dog), Brendan Fletcher (Fryman).
PAESE: USA 2015
GENERE: Western
DURATA: 156′
Nord Dakota, 1823. In fuga dagli indiani Arikara con un gruppo di cacciatori di pelli, il trapper Hugh Glass sopravvive miracolosamente all’attacco di un orso. Dato per spacciato, viene abbandonato dai compagni, ma il desiderio di vendetta – uno dei cacciatori gli ha ucciso il figlio mezzo indiano Pawnee – gli darà la forza per sopravvivere nonostante le ferite e le dure prove cui lo sottoporrà la natura…
Il settimo film del messicano Iňárritu, da lui scritto con Mark L. Smith, si rifà al libro Revenant di Micheal Punke ed è parzialmente ispirato all’incredibile storia (vera) di Hugh Glass, trapper e cacciatore di pelli che visse a cavallo tra settecento e ottocento. È un film estremo, dolente, talvolta insostenibile, un western intriso di sangue e fango che mescola le suggestioni revisioniste del post-classico (il west sporco e senza eroi ricorda Gli Spietati di Clint Eastwood) con l’ampio respiro tipico dei grandi classici, soprattutto l’ultimo Ford (quello di Sentieri Selvaggi). Come in Birdman, la mobilissima macchina da presa di Iňárritu fiata sui volti dei protagonisti e li tallona da vicinissimo, ma stavolta, spesso, abbandona la terra e vola tra le nubi, li osserva da lontano, piccole macchie che a stento si stagliano sulla maestosa indifferenza della natura. Ma Revenant è molte cose: è una parabola – feroce – sul rapporto tra uomo e natura; è uno studio etimologico e antropologico sulla parola “selvaggio” (e quindi, conseguentemente, uno studio “politico” sulla nascita delittuosa della civiltà USA); è la cronistoria di una rinascita continua e di continuo dolore; è il diario di una vendetta anomala perché riesce a essere catartica senza essere vittoriosa. È la storia di un uomo che, superate una serie di prove terribili, assume la maestosa, selvaggia indifferenza della natura. È anche un film sul cinema e su un’idea di cinema: il piano-sequenza come modo più semplice eppure più difficile (a causa degli effetti speciali) per girare, ma anche come espediente drammatico senza eguali nella sua estrema continuità temporale. Un virtuosismo che cessa di essere fine a se stesso quando diventa un modo personale – e schierato – di raccontare una storia.