Senza dubbio Revenant – Redivivo è un bel film, ma questo non vuol dire che arrivi al pubblico, che emozioni, che riempia. Siamo infatti di fronte ad un film opulento, una produzione enorme, di grandi numeri, nomi e spese che però lasciano per strada, anzi proprio dimenticano, lo spettatore. Revenant – Redivivo è un film glaciale e congelato, e non solo per l’innevata e piovosa ambientazione. L’ultima fatica di Inarritu rimane umida sulla pelle dello spettatore, non attecchisce, non scalda, ma in realtà nemmeno ci ghiaccia il sangue. È un film che non va oltre lo schermo e una regia che, perfettamente in linea con l’estro del regista messicano, porta avanti a marce forzate un riconoscibile barocchismo. L’esito? Una macchina che domina sui personaggi e sul paesaggio come in un quadro del pittore romantico Caspar David Friedrich.
Come sarà sembrato a molti, Revenant – Redivivo riecheggia The New World di Terrence Malick. Ma c’è una differenza: Malick, una volta tanto, aveva qualcosa da raccontare. Inarritu, stavolta, invece, non ha soggetto, l’idea di fondo è debolissima, acciaccato pretesto per montarci su un’opera che, come oramai fa spesso il cinema americano, punta solo alla magnificenza e magniloquenza della scenografia, degli effetti speciali, del lato “fisico” del film. Tutto il resto, ovvero l’emozione, rimane fuoricampo.
Dopo aver vinto i tre più ambiti Golden Globes (Miglior film, Miglior regia e Miglior attore), Revenant – Redivivo è ora in corsa per ben dodici premi Oscar. Considerando Hollywood, ce la farà, come in tempi non sospetti ce l’ha fatta Cuaron (praticamente stiamo parlando della stessa famiglia cinematografica, quella che da vari anni comanda in America). Vincerà la regia e sarà meritato. Poi vincerà anche il film, e li ci sarà da stracciarsi le vesti, un po’ come l’orso strappa la pelle a DiCaprio. Già, Di Caprio. Ci sta che stavolta lo vinca pure lui, quel benedetto Oscar. Non che abbia nulla da ridire sulla sua prova rabbiosa, schiumosa, più di nervi (saldi) e sforzo fisico che di emozione, ma vincerà per assenza di concorrenti (a meno che Michael Fassbender non improvvisi uno sgambetto per Steve Jobs). Fatto sta, che anche stavolta sarebbe bastato un Matthew McConaughey emaciato del caso a farlo capitolare.
E noi, alla fine della fiera, non ce lo meriteremmo un premio? Certo che sì. Perché qui, detto fuori dai denti, i veri redivivi dopo due ore e mezzo di film siamo noi, non il buon vecchio Leo. Stropicciandoci gli occhi, e mi duole dirlo, non per lo stupore, ma per il sonno.
Vota il post