Revenues Vò Cercando

Creato il 05 ottobre 2011 da Pedroelrey

Il tema di quali prospettive e quali modelli di business siano realisticamente perseguibili per l’informazione digitale è centrale rispetto all’evoluzione dell’ecosistema dell’informazione.

Al contributo, agli spunti offerti dalle riflessioni di Stefano Quintarelli, si è aggiunta la visione a tutto tondo, come sempre da leggere con attenzione, di Luca De Biase.

Dopo aver analizzato l’ambiente, la filiera editoriale tradizionale, cercando di identificare le potenziali aree di recupero di efficenza e redditività in tale ambito, ho cercato di identificare quali le prospettive ed i modelli di business per l’informazione online.

Provo oggi a chiudere il cerchio analizzando dimensioni degli investimenti, tipologia, ruolo e prospettive della comunicazione pubblicitaria, digitale e non, in riferimento alle possibili revenues che possono generare per i player tradizionali del settore editoriale.

I due elementi fondamentali di riferimento sono costituiti dal crollo degli investimenti pubblicitari sulla carta stampata e l’attuale difficoltà a compensare tali perdite dalle revenues in advertising derivanti dal digitale, tendenza generale che si manifesta in tutto il mondo alla quale il nostro paese non fa eccezione.

La questione di fondo diviene dunque inevitabilmente perchè e, soprattutto, che fare.

Si tratta di una questione cruciale poichè di fatto quotidiani e pubblicazioni periodiche hanno sempre avuto un modello di business spurio dove i ricavi vengono generati, come noto, dalle vendite del prodotto all’utente finale, al lettore, e della pubblicità alle imprese. Spingendo il concetto all’estremo è possibile affermare che in realtà gli editori non sono mai riusciti a valorizzare il loro prodotto sufficientemente da trarre profitto dalla sola vendita dello stesso.

Le edizioni online di quotidiani e periodici sono sostanzialmente esclusi da quella è la fetta più consistente degli investimenti in  comunicazione online: il search advertising. Format per il quale nel nostro paese non esistono dati consolidati ufficiali.

All’esclusione dal format che rappresenta da solo il 50% del mercato si sommano la riduzione della quota di ricavi unitari derivanti da display advertising e la diminuzione significativa dei listini di vendita alle aziende, agli investitori pubblicitari, per questo tipo di comunicazione, una bassissima propensione da parte degli internauti a cliccare sugli annunci che, infatti, generano tassi di conversione mediamente inferiori al 0,20%.

A questi aspetti si aggiunge una generale scarsa capacità di coinvolgimento con linguaggi e modalità di porgere arcaici che non si sono ancora adattati ed evoluti alla comunicazione digitale sia in termini di proposta dei contenuti degli editori, come dimostrano i dati sulla scarsa permanenza temporale all’interno delle edizioni online dei quotidiani,  che di soluzioni creative degli addetti ai lavori del settore pubblicitario, testimoniate dai dati precitati e dallo scarso impiego di forme che vadano oltre la consuetudine, siano esse nei mezzi classici con gli annunci tradizionali piuttosto che attraverso i banner che ne sono la trasposizione digitale.

Ad oggi la risposta fornita pare fondamentalmente concentrarsi, ancora una volta, sui volumi, sulle quantità. Le recenti mire espansionistiche del New York Times con l’edizione indiana, del Guardian in versione dedicata specificatamente agli USA e, in ultimo, di El Pais verso l’America Latina, rappresentano, nella mia decodifica,  l’evidenza più concreta di questo approccio. Tentativi che, peraltro, sono inibiti alle imprese del settore in Italia che a volumi di traffico modesti, rispetto agli omologhi citati, associano le oggettive barriere linguistiche. Un panorama generale che la corsa a Facebook non fa che peggiorare ulteriormente.

Il recupero di una relazione con le persone, base indipensabile ad un recupero dei ricavi, passa per azioni sia online che offline.

Nel concreto, a mio avviso, è necessario costituire e costruire nel tempo delle communities all’interno dei siti web dei quotidiani [vale, con le dovute differenze anche per i periodici] sulla falsariga di quanto realizzato da El Pais con Eskup che ne è attualmente la miglior concretizzazione. A questo elemento, mutuando da quello che illo tempore furono i giornali su supporto cartaceo, è opportuno costruire un sistema di conversazione e di intrattenimento per le persone, come lo sono fondamentalmente Facebook ed altri social network minori nell’attualità. Il gioco, sia nella sua forma tradizionale di attività prettamente ludica che nella sua trasposizione come elemento di narrazione di fatti e notizie ha, non ho dubbi, un ruolo fondamentale in tale ambito.

L’impiego di azioni e mezzi diversi, in forma integrata, massimizza da sempre i risultati. E’ in questa logica che vedo, altrettanto, di grande interesse la realizzazione di luoghi che favoriscano il contatto e la relazione con i lettori, con le persone.

Interventi ed azioni che devono necessariamente andare di pari passo con una profonda revisione della struttura dei siti web ed essere accompagnati da un acculturamento da parte delle imprese che investono in pubblicità e dei comunicatori di professione che troppo spesso le accontentano, per così dire, per quieto vivere, per convenienza, o per entrambi i fattori.

In questo scenario anche la carta, che contrariamente alle attese [pour cause] è ben lontana dall’estinzione, ha bisogno di recuperare appeal, di svecchiarsi, rendendosi nuovamente attraente per le persone e gli investitori pubblicitari.

Per trovare una mediazione tra carta e web, un punto di convergenza, è necessario continuare ad approfondire ed a sperimentare le diverse soluzioni di realtà aumentata che la tecnologia già rende disponibili.

Se il futuro è qui ma non qua ora, esistono gli elementi per lavorarci sopra con prospettiva. Non resta che farlo.

Se siete arrivati a leggere sin qui significa che si tratta di un tema che vi interessa e vi coinvolge, qualunque commento o integrazione è, come sempre, non solo gradito ma auspicato. Grazie dell’attenzione.


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