"Diary of a Wimpy Kid" è un family-film di basso profilo, con l'unico scopo dichiarato di divertire, mascherandosi dietro la raffigurazione della nuova infanzia statunitense, tutta tesa al raggiungimento della popolarità scolastica, base di un successo duraturo negli "anni della ragione". La solita manfrina della visibilità, sottolineata con una discutibile chart dei loser e dei vincenti, non è più legata al "Glee-Popular-fenomeno" della High School, ma si manifesta anni prima, nelle "Elementary school". L'intera pellicola è basata sulle manie da successo (costantemente mancato) di un ragazzetto bassino e con lo sguardo vispo che scrive un diario, animando il film con vignette da graphic novel elementari (lo script è basato sull'opera di Jeff Kinney). L'interprete è la cosa migliore del film, giacchè ha la stoffa del "baby-prodigio" meno montato e più accattivante rispetto ai suoi "illustri" antenati che hanno caratterizzato la commedia low-profile anni '90 con più o meno successo, Zachary Gordon. A ciò si aggiunga la lanciatissima Chloe Moretz, che è la perla rara del firmamento giovanile e qui interpreta un piccolo ruolo, di appendice, quasi un corollario alle sue scelte molto più adulte che spaziano da Scorsese a pellicola cult-aggressive come "Kick-Ass". Per il resto, nessuna novità, sopattutto da parte degli interpreti adulti, in cui Rachael Harris si agghinda come Tina Fey e il "padre" Steve Zahn ha un ruolo tanto marginale che pronuncia un numero di battute-gag senza alcun importanza narrativa. A confronto, data la sceneggiatura-pretesto, il facile moralismo finale, la definzione paradossale dei caratteri ( taglio di capelli alla "Piccola Peste" e vestini ridicoli del Rowley Jefferson di Robert Capron), le esagerazini e qualche stupida volgarità in famiglia, "Ramona and Beezus" con Selena Gomez e Joey King è di molto superiore, soprattutto per la lettura psicologica fine e mai banale. Rimane un prodotto divertente, ma anche preconfezionato, per certi versi per nulla educativo, da guardare con occhio distaccato da parte di chi si trova a gestire figli "reali" e non piccoli "cartoni" i cui problemi sono solo sulla carta (ora trasposti su pellicola cinematografica) e non nella vita quotidiana. In uscita il sequel questa settimana in USA (con un terzo film già programmato), da noi non è arrivato nemmeno il primo capitolo. Ce ne faremo, volentieri, e senza remore, una ragione.
"Diary of a Wimpy Kid" è un family-film di basso profilo, con l'unico scopo dichiarato di divertire, mascherandosi dietro la raffigurazione della nuova infanzia statunitense, tutta tesa al raggiungimento della popolarità scolastica, base di un successo duraturo negli "anni della ragione". La solita manfrina della visibilità, sottolineata con una discutibile chart dei loser e dei vincenti, non è più legata al "Glee-Popular-fenomeno" della High School, ma si manifesta anni prima, nelle "Elementary school". L'intera pellicola è basata sulle manie da successo (costantemente mancato) di un ragazzetto bassino e con lo sguardo vispo che scrive un diario, animando il film con vignette da graphic novel elementari (lo script è basato sull'opera di Jeff Kinney). L'interprete è la cosa migliore del film, giacchè ha la stoffa del "baby-prodigio" meno montato e più accattivante rispetto ai suoi "illustri" antenati che hanno caratterizzato la commedia low-profile anni '90 con più o meno successo, Zachary Gordon. A ciò si aggiunga la lanciatissima Chloe Moretz, che è la perla rara del firmamento giovanile e qui interpreta un piccolo ruolo, di appendice, quasi un corollario alle sue scelte molto più adulte che spaziano da Scorsese a pellicola cult-aggressive come "Kick-Ass". Per il resto, nessuna novità, sopattutto da parte degli interpreti adulti, in cui Rachael Harris si agghinda come Tina Fey e il "padre" Steve Zahn ha un ruolo tanto marginale che pronuncia un numero di battute-gag senza alcun importanza narrativa. A confronto, data la sceneggiatura-pretesto, il facile moralismo finale, la definzione paradossale dei caratteri ( taglio di capelli alla "Piccola Peste" e vestini ridicoli del Rowley Jefferson di Robert Capron), le esagerazini e qualche stupida volgarità in famiglia, "Ramona and Beezus" con Selena Gomez e Joey King è di molto superiore, soprattutto per la lettura psicologica fine e mai banale. Rimane un prodotto divertente, ma anche preconfezionato, per certi versi per nulla educativo, da guardare con occhio distaccato da parte di chi si trova a gestire figli "reali" e non piccoli "cartoni" i cui problemi sono solo sulla carta (ora trasposti su pellicola cinematografica) e non nella vita quotidiana. In uscita il sequel questa settimana in USA (con un terzo film già programmato), da noi non è arrivato nemmeno il primo capitolo. Ce ne faremo, volentieri, e senza remore, una ragione.
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