Al 5 capitolo, "Fast and Furious" mette il turbo e diventa un fenomeno di massa a tutto tondo, conquistando botteghino, pubblico e critica più smaliziata. A dire il vero, "Fast Five" non è da buttare via a prescindere e con pregiudizio, anche solo perchè si spinge oltre rispetto alla sceneggiatura standard dei precedenti film e cerca, con una certa freschezza, di raccontare un'altra folle avventura del clan Moretto, attingendo al patrimonio genetico dell'action-movie in modo spinto e originale, con una mescolanza nuova. Spesso la tensione e l'adrenalina si disciolgono nel buonismo americano conservatore, altre volte il tono sentimentale appare fuori luogo, mentre il meccanismo umoristico è incolore e ripetitivo. Ma, in effetti, il product-placement automobilistico funziona e il regista, Justin Lin, scalda i motori per un avvenire di successo dopo aver rivitalizzato la serie a partire dal terzo episodio, grazie soprattutto ad un'indiscutibile preparazione tecnica e ad una capacità di rendere il brand riconoscibile.
Evitare di analizzare il fenomeno "Fast and Furious" sotto un profilo pseudo-sociologico equivale semplicemente a constatare il successo in crescita della serialità. Ed è l'unica prospettiva che si può avanzare allo stato attuale delle cose. Per il resto, domandarsi quali siano i motivi che abbiano determinato una fidelizzazione senza precedenti nel mondo dell'action in un pubblico eterogeneo è certamente utile, ma quasi mai risolutivo. "Fast and Furious" è un franchise, come Harry Potter per il fantasy più o meno adulto, come Twilight per l'horror-romance. E il loro successo va oltre le logiche interpretative, ed è figlio di una pluralità di fattori che è impossibile ricostruire attualmente con precisione minuta. In molti hanno sottolineato la forza del binomio donne/motori. Certo, ma va considerato che l'ultima evoluzione dello script mostri come nessuno dei due elementi in questione sia fondamentale (le donne non sono solo "tanga" in movimento, le corse automobilistiche un passatempo da dosare con parsimonia, magari in un punto stanco del film). La sceneggiatura, infatti, si infarcisce di storie e sottostorie, elementari, talvolta ridicole, a volte legate ai capitoli precedenti con nessi immediati e non necessari per la completezza dell'intreccio e forse responsabili dell'eccessiva lunghezza della pellicola (che ha anche una versione estesa). Una traccia, tra il buonismo e il consolatorio/patetico, oltrepassa gran parte della serialità, e nel caso del 5 capitolo, con la definzione di "famiglia" allargata e il sopraggiungere di un bambino, giunge a dare sostanza e ad indirizzare lo svolgimento secondo un'ottica in parte diversa dai precedenti capitoli, in cui il sentimentalimo era legato a singoli momenti. E' un po' il film della maturazione, un compendio (accompagnato nel finale dalla arcinota "Danza Kuduro" dell'abitudinario Don Omar con una panoramica evitabilissima sugli avvenimenti felici post-azione) generale con il ritorno di numerosi personaggi, una traposizione fumettistica più vicina alle nuove pellicole Marvel che ad un film adrenalinico, sessista, nel vecchio spirito dei primi adattamenti. "Fast Five" è un giocattolo di nuova generazione, pieno zeppo di gadget visivi, musicali, sonori, tenuti insieme da una non-storia (questa volta è Rio la meta caliente dell'azione), in cui la personalità del cast giganteggia su caratteri limitati ed elementari, stereotipati. Certo vedere Vin Diesel e Dwayne Johnson destreggiarsi in una rivalità fraterna vale il prezzo di un fantomatico biglietto, così come l'ensamble viene rimpolpato con una Elsa Pataki da favola, sangue madrileno incluso, e confermato sagacemente (e Ludacris/Tyrese fanno la loro figura, così come l'israeliana di turno, Gal Gadot, a cui aggiungere la materna Jordana Brewster) e questo può essere abbastanza per un cinema smaccatamente commerciale e sempre uguale a sè stesso. Prendere o lasciare.