Spike Jonze tiene fede alla sua concezione inter-artistica e polivalente e, dopo aver fatto del cinema ufficiale una succursale visionaria di appendice, decide di continuare il suo ventennale rapporto con la musica da vedere. Artefice di videoclip storici, da "Praise you" di Fatboy Slim ad una serie impressionante di artisti che hanno bypassato mode a partire dagli anni 90', questa volta la liason è con gli Arcade Fire, ma il progetto si evolve e dall'idea generale e statica di videoclip nasce un mediometraggio inter-indipendente discreto, direttamente legato all'ultimo disco della band canadese, "The suburns". Figlio di un'arte cool e alternativa, l'importanza di Jonze sta più nel suo svuotamento sistematico del mezzo cinematografico, grazie ad una dissociazione narrativa tutta portata ad accrescere l'importanza del dato visivo, che nei risultati. Tra il concettuale e l'informale, Jonze si conferma un autore rivoluzionario e avulso dal contesto pacificante del legame con un'idea univoca della manifestazione artistica e si propone come un autore di serigrafie in movimento che contengono spunti più o meno originali, mediati dalla tonalità umorale del regista. Ogni storia, dall'infantile adattamento di Sendak al doppio legame reale/irreale del Malkovich in sè medesimo e del Kaufman "bloccato" in sè e nella sceneggiatura che scrive, è un'alterazione della linearità a favore del meta-linguaggio artistico. Tra mock assurdo e folle (Jackass di cui è produttore e sceneggiatore), tentativi di riaffermazione del primato artistico a scopo pubblicitario e viceversa (il caso dell'altro short di grande levatura, "I'm here", prodotto dalla Absolut Vodka) e letture asciutte e incerte come "Scenes of the suburns", una discesa senza salita e senza ancora esplicita nel mondo di un sobborgo periferico tra la quotidianità adolescenziale e l'alterazione da violenza come messaggio poco subliminale, tra dissolvenze temporali e spazi più o meno mentali, più o meno reali, chiusi alla facile rielaborazione dei rapporti causa-effetto, Jonze vince perché semplicemente ha capito che la partita la gioca da solo e allo spettatore sta solo prendere o lasciare. Jonze vince, anyway.
Spike Jonze tiene fede alla sua concezione inter-artistica e polivalente e, dopo aver fatto del cinema ufficiale una succursale visionaria di appendice, decide di continuare il suo ventennale rapporto con la musica da vedere. Artefice di videoclip storici, da "Praise you" di Fatboy Slim ad una serie impressionante di artisti che hanno bypassato mode a partire dagli anni 90', questa volta la liason è con gli Arcade Fire, ma il progetto si evolve e dall'idea generale e statica di videoclip nasce un mediometraggio inter-indipendente discreto, direttamente legato all'ultimo disco della band canadese, "The suburns". Figlio di un'arte cool e alternativa, l'importanza di Jonze sta più nel suo svuotamento sistematico del mezzo cinematografico, grazie ad una dissociazione narrativa tutta portata ad accrescere l'importanza del dato visivo, che nei risultati. Tra il concettuale e l'informale, Jonze si conferma un autore rivoluzionario e avulso dal contesto pacificante del legame con un'idea univoca della manifestazione artistica e si propone come un autore di serigrafie in movimento che contengono spunti più o meno originali, mediati dalla tonalità umorale del regista. Ogni storia, dall'infantile adattamento di Sendak al doppio legame reale/irreale del Malkovich in sè medesimo e del Kaufman "bloccato" in sè e nella sceneggiatura che scrive, è un'alterazione della linearità a favore del meta-linguaggio artistico. Tra mock assurdo e folle (Jackass di cui è produttore e sceneggiatore), tentativi di riaffermazione del primato artistico a scopo pubblicitario e viceversa (il caso dell'altro short di grande levatura, "I'm here", prodotto dalla Absolut Vodka) e letture asciutte e incerte come "Scenes of the suburns", una discesa senza salita e senza ancora esplicita nel mondo di un sobborgo periferico tra la quotidianità adolescenziale e l'alterazione da violenza come messaggio poco subliminale, tra dissolvenze temporali e spazi più o meno mentali, più o meno reali, chiusi alla facile rielaborazione dei rapporti causa-effetto, Jonze vince perché semplicemente ha capito che la partita la gioca da solo e allo spettatore sta solo prendere o lasciare. Jonze vince, anyway.
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