L'intento è notoriamente ideologico, con Redford grande demiurgo della materia in area democratica , ma "The Conspirator" si avvale di una storia intensa e eloquente, capace di superare facili critiche di schieramento, cercando di gettare le basi di un patrimonio comune. E se la ricostruzione è accurata, colpisce molto il lavoro degli attori e soprattutto di Robin Wright che, nei panni dell'accusata Mary Surrat, ci regala un'interpretazione asciutta e intima ma anche profondamente commovente e sentita, finora una delle migliori della stagione in corso e l'apice di una carriera di attrice spesso ingiustamente in ombra.
I film politici sono la spina del fianco di tanto, troppo cinema internazionale e non. Il rischio maggiore in cui incorrere è la pesantezza ideologica più che la partigianeria. E, a dire il vero, "The Conspirator" è un film che fa dell'ideologia il suo riferimento necessario e invalicabile. Il "j'accuse" post-illuminista è continuamente sussunto nel testo narrativo, anche se taluni non hanno grande perizia nell'accorgersene e potrebbero non afferrare gli alti propositi del Redford dietro la macchina da presa e prendere atto solo della vicenda in sè. Nel caso di "The Conspirator" la natura ideologica, d'altronde, riesce a trascendere lo schieramento rappresentativo e ad esprimere un patriottismo di stampo americano totalizzante e comune, molto lontano dalla tradizione di alcuni paesi come l'Italia, in cui l'attuale carta costituzionale risale al secondo dopoguerra e la sua centralità è spesso oggetto di critiche politiche ed interpretative piuttosto forti e discordi, spesso ideologicamente orientate. Va dato atto a Redford di aver cercato di unire il paese sotto il peso dei fatti storici comuni e di aver esposto un discorso serio e composto, privo di travisamenti a tesi ed eccessi di zelo da ogni parte (mentre il Griffith di "Nascita di una nazione" deve ancora scontare l'onta del razzismo e della presa di posizione sudista), tanto che il suo più che un pamphlet o una storia in movimento è un monito bipartisan che mette un punto quasi definitivo alla provocazione politica. Proprio per questo, "The conspirator" riesce ad essere meno pesante, meno stantio di altri illustri antecedenti, un film in cui la politica e la storia combaciano e non sono in continua lotta tra di loro. Tanto che i personaggi inquisiti, agli antipodi rispetto alle idee del regista, conservatori e contrari all'Unione, sono le vere vittime perchè non soggetti ad un processo giusto (il regista da per assodata la presunzione di innocenza, a ragione, e stravolge la sua stessa identificazione ideologica a favore del patrimonio comune di riferimento, la costituzione). Certo una pesantezza/teatralità della ricostruzione e una banalizzazione necessaria a fini pedagogi impedisce all'opera di avere un pubblico e una necessità reale, ma non può trascendere i limiti dell'adattamento storiografico e deve accettare di essere ormai un atto di coraggio, proscritto ai più, in un mercato che rifiuta i prodotti moralistici, ma non per questo da denigrare. In più tanto l'apparato tecnico che quello artistico sono perfettamente integrati e il livello del cast è molto sopra la media (con qualche eccezione, penso ai ruoli affidati a Justin Long e Alexis Bledel, nonchè la schematizzazione del character di Tom Wilkinson) soprattutto grazie ad un perfetto avvocato come James McAvoy, capace di dare credibilità a particolari giuridici non così comprensibili per lo spettatore e, come detto, alla stupefacente Robin Wright che invecchia e si rende quasi irriconoscibile nel ruolo cuore del film, riuscendo a trasmettere una carica emotiva rara e a dare il giusto riconoscimento al personaggio, spesso dimenticato, di Mary Surrat, madre ed eroina, prima donna soggetta alla pena di morte nei neonati Stati Uniti d'America.