Branagh sembra credere davvero alla favoletta del "Thor" espressione del mito shakespeariano di cui è tanto esperto e cultore. Ma non può esimersi dalla traduzione sempliciotta e iper-spettacolare di un blockbuster, non dimentico (suo malgrado) di un'ironia inflazionata e limitante da comic-movie di nuova generazione by Marvel. Cast poco partecipe e una certa inconcludezza del plot fanno il resto. Ai posteri soltanto la splendida ricostruzione visiva."Thor" è un prodotto disomogeneo fin dalle sue intenzioni e dall'approccio del suo arcinoto ensemble artistico e tecnico.
Branagh tenta la salita all'Olimpo della cinematografia e, guarda caso, sceglie un mondo tra mito e realtà come quello di Thor, tra il regno di Asgard e la Terra. A quanto dichiara, forse con un po' di eccessiva compiacenza, il suo è un neo-kolossal differente, un blockbuster dalla forza emotiva dirompente, un comic archetipico. E, a tal proposito, adduce una serie di indicazioni che possono falsare l'aspettativa pre-visione. Ad un tratto, dal cilindro di una competenza incredibile (è il regista di Shakespeare per eccellenza), tira fuori la storiella del complicato rapporto padre-figlio come motivo drammaturgico centrale. La cosa sorprendente è che proprio laddove la sua mano doveva essere determinante, ovvero nel rapporto che lega i due figli caratterialmente opposti al padre Odino, il meccanismo drammatico si inceppa e subisce una banalizzazione piscologica avulsa dalla tradizione a cui il regista appariene. Branagh compie il più grande errore possibile. Snatura sè stesso e abbandona la sua capacità di analisi e di giungere al cuore topico delle condizioni esistenziali e soprattutto non si accorge che la mediazione tra teatro e action, tra ricostruzione formale e completa decadenza testuale, tra esigenza autoriale e caratura squisitamente commerciale, non dona lustro al suo nome nè al film, che non trova un'identità chiara, così fondamentale per la destinazione/fruzione di base. "Thor" è il più difficile comic da adattare, e va apprezzato il coraggio di chi ha prestato le proprie credenziali ad un'operazione tanto ambigua e complessa. Ma è anche un momento di incontro/scontro fondamentale per rappresentare l'evoluzione dei super-eroi e il dramma dell'immediato svuotamento dei poteri, il dissidio fantascientifico tra due mondi lontani e le complicazioni emotive dei personaggi. Nelle mani di tre sceneggiatori diversi, diventa un'opera qualunque, addirittura incapace di colpire chi guarda, un atipico caso di involuzione empatica. Il modaiolo "Iron man", il coesivo "Capitan America", l'introspettivo "L'incredibile Hulk" creano, con "Thor, una pentalogia ambiziosa e quasi mai, nel complesso e non nella singola opera, una sintesi decisa tra le istanze diverse. Così un umorismo troppo facile e inconcludente si insinua nel caso specifico, mentre attori poco carismatici non riescono a mantenere il peso di una pellicola. Chris Hemsworth non era la scelta giusta da principio, ma chi l'ha diretto non ha saputo dare indicazioni chiare, giacchè il carattere manca completamente di credibilità e di evoluzione. Non meglio il caso di Natalie Portman. anch'essa alle prese con dichiarazioni intellettualoidi che lasciano il tempo che trovano, del tutto anonima e priva di carattere. Meglio va a Anthony Hopkins e soprattutto alla vera sorpresa nella parte della nemesi simmetrica del fratello Loki, Tom Hiddleston, la cosa migliore del film. Positiva e rimarchevole la componente tecnica e soprattutto la direzione artistica. Ma non basta a salvare un film che parte, sin dalla scelta di base, quella del director, con il piede sbagliato.