L'importanza riconosciuta a "Noi credevamo" di Mario Martone non è unanime, anzi è piuttosto discorde tra chi ne ha sostenuto la grandezza realizzativa e chi ha sminuito la pellicola perchè troppo televisiva. Per una volta, non posso che sostenere la difesa ad oltranza del film soprattutto perchè frutto di un lavoro sapiente senza eguali nella nostra storia cinematografica moderna, capace di competere con i fasti e le bellezze delle immagini di Visconti, modulati secondo criteri più moderni ma non meno rimarchevoli. "Noi credevamo" è un affresco sul Risorgimento piuttosto fedele all'immagine del secolo, legato indissolubilmente ad uno script notevole di una romanziera non troppo nota nel nostro panorama letterario, Anna Banti. E' proprio la coralità complessa, strutturata su diversi piani temporali, l'abbracciare e il confrontarsi tra diverse correnti unitarie facenti capo a uomini-simbolo rimasti nella memoria storica, a determinare una possibilità di adesione marcata alla storiografia, non dimenticando di inserire, appunto, l'elemento letterario, attraverso monografie di "personaggi ispirati a", che si aggiungono a quelli storici. Una prospettiva tipica di chi fa giganteggiare la "storia degli uomini comuni" e detronizza la "storia degli uomini di storia", arrivando a ribaltare provocatoriamente i ruoli e a fare dei protagonisti del tempo una parte compressa e limitata di un discorso più ampio. Torna a galla un'altra grande dimenticata della storia e del suo tempo, Cristina Belgioioso, interpretata, per la parte giovanile, da una perfetta Francesca Inaudi, la donna teorizzatrice e rivoluzionaria del movimento unitario. La prospettiva non è mai declamatoria, i dialoghi sono enfatici e a volte carichi di un ideologismo oggi scomparso ma per nulla banali, la narrazione abbraccia la storia (e non viceversa), la tessitura visiva, anche se "povera", è curatissima e direttamente meta-artistica, la scansione in capitoli permette di avere un preciso scorrere, evitando salti cronologici elementari. A Martone va dato atto di aver messo su un cast pregevole in cui il comprimario ha la stessa importanza del nome noto, quasi a far emergere quel contrappasso reale che intercorre tra l'empatia umana (da garantire solo agli uomini comuni) e la riverenza bibliografica (a cui sono soggetti gli eroi). Il Risorgimento diventa, con "Noi Credevamo e il suo pessimismo amaro, tra morte e disillusione, un'epoca di uomini che si fanno eroi e di eroi che non sono uomini.
L'importanza riconosciuta a "Noi credevamo" di Mario Martone non è unanime, anzi è piuttosto discorde tra chi ne ha sostenuto la grandezza realizzativa e chi ha sminuito la pellicola perchè troppo televisiva. Per una volta, non posso che sostenere la difesa ad oltranza del film soprattutto perchè frutto di un lavoro sapiente senza eguali nella nostra storia cinematografica moderna, capace di competere con i fasti e le bellezze delle immagini di Visconti, modulati secondo criteri più moderni ma non meno rimarchevoli. "Noi credevamo" è un affresco sul Risorgimento piuttosto fedele all'immagine del secolo, legato indissolubilmente ad uno script notevole di una romanziera non troppo nota nel nostro panorama letterario, Anna Banti. E' proprio la coralità complessa, strutturata su diversi piani temporali, l'abbracciare e il confrontarsi tra diverse correnti unitarie facenti capo a uomini-simbolo rimasti nella memoria storica, a determinare una possibilità di adesione marcata alla storiografia, non dimenticando di inserire, appunto, l'elemento letterario, attraverso monografie di "personaggi ispirati a", che si aggiungono a quelli storici. Una prospettiva tipica di chi fa giganteggiare la "storia degli uomini comuni" e detronizza la "storia degli uomini di storia", arrivando a ribaltare provocatoriamente i ruoli e a fare dei protagonisti del tempo una parte compressa e limitata di un discorso più ampio. Torna a galla un'altra grande dimenticata della storia e del suo tempo, Cristina Belgioioso, interpretata, per la parte giovanile, da una perfetta Francesca Inaudi, la donna teorizzatrice e rivoluzionaria del movimento unitario. La prospettiva non è mai declamatoria, i dialoghi sono enfatici e a volte carichi di un ideologismo oggi scomparso ma per nulla banali, la narrazione abbraccia la storia (e non viceversa), la tessitura visiva, anche se "povera", è curatissima e direttamente meta-artistica, la scansione in capitoli permette di avere un preciso scorrere, evitando salti cronologici elementari. A Martone va dato atto di aver messo su un cast pregevole in cui il comprimario ha la stessa importanza del nome noto, quasi a far emergere quel contrappasso reale che intercorre tra l'empatia umana (da garantire solo agli uomini comuni) e la riverenza bibliografica (a cui sono soggetti gli eroi). Il Risorgimento diventa, con "Noi Credevamo e il suo pessimismo amaro, tra morte e disillusione, un'epoca di uomini che si fanno eroi e di eroi che non sono uomini.
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