Delusione in salsa Ozon, una delle poche, forse l'unica così cocente della carriera finora da me visionata. "Potiche" è una "pastiche", per dirla in termini affini. Ed è un "pastiche" perchè, spesso, i cambi radicali di rotta, in una carriera, non aiutano, o almeno, non aiutano quanto dovrebbero. Il film precedente era "Il rifugio", intimo e intenso. Subito dopo una commedia dei sessi in cui, in un modo o nell'altro, il tradizionalismo e il buonismo dominano incontrastati, in cui il carattere eversivo si perde per strada e lascia scorgere in sottofondo una sceneggiatura-divertissment. Il film punta molto sull'estrosità visiva, sulla creazione scenografica, l'attenzione ai costumi, lo stile e qualche zampillo di cinismo iniziale. Ma i personaggi si perdono nei loro tipi, da commedia senza personalità, in una società-contrasto che ricorda, da lontano, e senza lo stesso tocco originale, i film della premiata ditta Benoît Delépine e Gustave de Kervern. Manca la corposità, è tutto un lungo e insapore intreccio tra il paradossale e il poco interessante, il forzato e l'eccessivo, il kitsch e il demodè tornato appena di moda con una scaltra operazione di recupero vintage. Anche gli attori non se la cavano, anzi, per certi versi è una disdetta vedere Depardieu in un personaggio così banalizzato incontrare, dopo anni, la splendida Denevue, che è la vera stella che regge l'intero film, e che garantisce una valutazione sufficiente dell'opera, nobilitandola con charme e stile. Per il resto, un altro nome meno noto da noi (ma molto popolare in Francia), Fabrice Luchini sfiora la caricatura. Il tutto è montato, costruito, formalmente ineccepibile, ma anche aleatorio, non destinato a rimanere. Ed è un peccato che ciò che perduri sia un senso di vuoto, non abituale per un film targato Ozon.
Delusione in salsa Ozon, una delle poche, forse l'unica così cocente della carriera finora da me visionata. "Potiche" è una "pastiche", per dirla in termini affini. Ed è un "pastiche" perchè, spesso, i cambi radicali di rotta, in una carriera, non aiutano, o almeno, non aiutano quanto dovrebbero. Il film precedente era "Il rifugio", intimo e intenso. Subito dopo una commedia dei sessi in cui, in un modo o nell'altro, il tradizionalismo e il buonismo dominano incontrastati, in cui il carattere eversivo si perde per strada e lascia scorgere in sottofondo una sceneggiatura-divertissment. Il film punta molto sull'estrosità visiva, sulla creazione scenografica, l'attenzione ai costumi, lo stile e qualche zampillo di cinismo iniziale. Ma i personaggi si perdono nei loro tipi, da commedia senza personalità, in una società-contrasto che ricorda, da lontano, e senza lo stesso tocco originale, i film della premiata ditta Benoît Delépine e Gustave de Kervern. Manca la corposità, è tutto un lungo e insapore intreccio tra il paradossale e il poco interessante, il forzato e l'eccessivo, il kitsch e il demodè tornato appena di moda con una scaltra operazione di recupero vintage. Anche gli attori non se la cavano, anzi, per certi versi è una disdetta vedere Depardieu in un personaggio così banalizzato incontrare, dopo anni, la splendida Denevue, che è la vera stella che regge l'intero film, e che garantisce una valutazione sufficiente dell'opera, nobilitandola con charme e stile. Per il resto, un altro nome meno noto da noi (ma molto popolare in Francia), Fabrice Luchini sfiora la caricatura. Il tutto è montato, costruito, formalmente ineccepibile, ma anche aleatorio, non destinato a rimanere. Ed è un peccato che ciò che perduri sia un senso di vuoto, non abituale per un film targato Ozon.
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