"The town" di Ben Affleck è un'opera compatta, dinamica, piuttosto lenta ad ingranare la marcia, ma poi subito veloce, attenta a svelare tutto con puntigliosità e costanza. La struttura è classica, compita e mai eccessiva, le trovate non troppo originali. Il "robbery-film" è una consuetudine difficile da stravolgere nella sua essenza. Ben Affleck sa il fatto suo e realizza il miglior film possibile per un sottogenere così ripetitivo. Intesse, infatti, alla rete criminale, una fitta compagine di elementi e nodi umani, che vanno dal sentimentale alla capacità analitica di ricostruzione d'indagine. E riesce a creare un prodotto tanto vicino al vecchio sistema Hollywoodiano, quanto aperto alla modernità. I personaggi di "The town" non hanno colore a prescindere. Affleck non fa del criminale un vincente, ma non regala all'immagine dell'uomo di giustizia un carattere eroico. La problematizzazione dei caratteri è un punto chiave di svolta del cinema americano di epoche fa, non merito suo, ma il ragazzotto ha il merito di perseguire la medesima strada dei grandi. La matrice è, soprattutto in una prima fase, classica e vicina al nuovo campionario televisivo statunitense. Alcune scelte di regia, piuttosto semplici, e l'intero assetto angolare della macchina da presa, hanno un loro fondamento nei serial di nuova generazione. Non a caso, la presenza del "Mad Men" Jon Hamm è una sorta di collante. Va specificato che il film è profondamente legato ad esigenze e presenta caratteri cinematografici in modo netto, dalla durata, vicina alle due ore, ai mezzi tecnici, all'evidente necessità di creare una sceneggiatura ad incastrum che sia veloce ma "perfetta" nell'inquadrare i particolari. Il contatto con il mondo dei serial sta quindi nel tipo di scrittura (non a livello strutturale ma a livello contenutistico), accattivante e commerciale. Non mi stupisco del successo internazionale del film. E' un prodotto di gran qualità e di facile lettura. Mi preme sottolineare come, infine, il film vinca ogni possibile recriminazione con la recitazione. Trovare un attore fuori posto è molto facile, anche in opere memorabili. In "The town", quartiere di CharlesTown a Boston, non posso che ammirare il lavoro di direzione attoriale. I personaggi vengono nobilitati da una recitazione vissuta e sentita, rigorosa e piuttosto accondiscendente alle caratteristiche della scrittura. Paradossalmente, in un film che trabocca di parole, è proprio l'emapatia sensoriale tra i protagonisti ad essere credibile oltre misura. Se Rebecca Hall, la migliore, assume espressioni che ne fanno emergere l'umanità/complessità del carattere in un crescendo di emozioni chiare e precise, rispetto ad una bellezza immobile fine a sè stessa, colpisce anche l'altra star televisiva Blake Lively, sensualissima e con un primo piano struggente. Gli interpreti maschili non sono da meno, come si evince soprattutto nella seconda parte in cui Jeremy Reener mostra la sua sapienza attoriale nella rabbia nel suo personaggio, mentre Hamm è di per sè imprescindibile in ogni sua prova. Ben Affleck non è il miglior attore esistente. Eppure, in questo film, è una sorta di narratore interno. La brillantezza degli altri attori non è responsabilità dei singoli, ma è come se vedessi un lavoro di trascinamento di Ben, che opera quasi come fosse un regista-interno, limitando il suo ruolo, fulcro narrativo, e assoggettandolo alla possibilità di far emergere l'interpretazione altrui. Un controllo che solo un attore-regista può garantire.
"The town" di Ben Affleck è un'opera compatta, dinamica, piuttosto lenta ad ingranare la marcia, ma poi subito veloce, attenta a svelare tutto con puntigliosità e costanza. La struttura è classica, compita e mai eccessiva, le trovate non troppo originali. Il "robbery-film" è una consuetudine difficile da stravolgere nella sua essenza. Ben Affleck sa il fatto suo e realizza il miglior film possibile per un sottogenere così ripetitivo. Intesse, infatti, alla rete criminale, una fitta compagine di elementi e nodi umani, che vanno dal sentimentale alla capacità analitica di ricostruzione d'indagine. E riesce a creare un prodotto tanto vicino al vecchio sistema Hollywoodiano, quanto aperto alla modernità. I personaggi di "The town" non hanno colore a prescindere. Affleck non fa del criminale un vincente, ma non regala all'immagine dell'uomo di giustizia un carattere eroico. La problematizzazione dei caratteri è un punto chiave di svolta del cinema americano di epoche fa, non merito suo, ma il ragazzotto ha il merito di perseguire la medesima strada dei grandi. La matrice è, soprattutto in una prima fase, classica e vicina al nuovo campionario televisivo statunitense. Alcune scelte di regia, piuttosto semplici, e l'intero assetto angolare della macchina da presa, hanno un loro fondamento nei serial di nuova generazione. Non a caso, la presenza del "Mad Men" Jon Hamm è una sorta di collante. Va specificato che il film è profondamente legato ad esigenze e presenta caratteri cinematografici in modo netto, dalla durata, vicina alle due ore, ai mezzi tecnici, all'evidente necessità di creare una sceneggiatura ad incastrum che sia veloce ma "perfetta" nell'inquadrare i particolari. Il contatto con il mondo dei serial sta quindi nel tipo di scrittura (non a livello strutturale ma a livello contenutistico), accattivante e commerciale. Non mi stupisco del successo internazionale del film. E' un prodotto di gran qualità e di facile lettura. Mi preme sottolineare come, infine, il film vinca ogni possibile recriminazione con la recitazione. Trovare un attore fuori posto è molto facile, anche in opere memorabili. In "The town", quartiere di CharlesTown a Boston, non posso che ammirare il lavoro di direzione attoriale. I personaggi vengono nobilitati da una recitazione vissuta e sentita, rigorosa e piuttosto accondiscendente alle caratteristiche della scrittura. Paradossalmente, in un film che trabocca di parole, è proprio l'emapatia sensoriale tra i protagonisti ad essere credibile oltre misura. Se Rebecca Hall, la migliore, assume espressioni che ne fanno emergere l'umanità/complessità del carattere in un crescendo di emozioni chiare e precise, rispetto ad una bellezza immobile fine a sè stessa, colpisce anche l'altra star televisiva Blake Lively, sensualissima e con un primo piano struggente. Gli interpreti maschili non sono da meno, come si evince soprattutto nella seconda parte in cui Jeremy Reener mostra la sua sapienza attoriale nella rabbia nel suo personaggio, mentre Hamm è di per sè imprescindibile in ogni sua prova. Ben Affleck non è il miglior attore esistente. Eppure, in questo film, è una sorta di narratore interno. La brillantezza degli altri attori non è responsabilità dei singoli, ma è come se vedessi un lavoro di trascinamento di Ben, che opera quasi come fosse un regista-interno, limitando il suo ruolo, fulcro narrativo, e assoggettandolo alla possibilità di far emergere l'interpretazione altrui. Un controllo che solo un attore-regista può garantire.
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