Riapre al pubblico la Cappella di Teodolinda

Creato il 02 novembre 2015 da Kimayra @Chimayra
(Fonte: Tempi.it) - "Fervidissima maestà di fede, famosa per le sue opere, sincera per umiltà, contrita nella preghiera, dedita alla generosità, legata all'obbligo della carità, provvida nella saggezza, ricca di misericordia, illustre per onestà, ricolma di tutte le virtù, soave nell'oratoria, acuta di ingegno, abbondante nel donare, giusta nel giudicare, misericordiosa nel parlare, amicissima di Cristo, sostenitrice del gregge cattolico, perenne nemica del diavolo, antagonista totale della sua sostanza eretica" (Sisebuto, re dei Visigoti di Spagna, in una lettera al figlio di Teodolinda)
Dopo un restauro durato sette anni, dal 16 ottobre al Duomo di Monza è aperta di nuovo al pubblico la cappella dedicata a Teodolinda. Un affresco a spirale risalente al XV secolo, attribuito ai fratelli Zavattari, e restituito agli antichi colori ricorda la storia della regina barbara che convertì al cattolicesimo la "nazione nefandissima" (così definita da papa Gregorio I) di quei longobardi scesi dalle terre germaniche che regnarono sulla popolazione goto-romana fra il 500 e l'800 d.C.
La storia di Teodolinda è considerata oggi secondaria, ma non lo fu per i contemporanei, se a lei la tradizione storiografica e la cultura popolare attribuirono un'importanza nell'opera di pacificazione nell'Italia dominata dai barbari pagani e ariani, insieme a Gregorio Magno, un papa certamente non secondario nella storia della Chiesa e dell'Occidente. (...)
Le immagini nella cappella degli Zavattari narrano in quarantacinque scene la vita della regina Teodolinda (il cui nome significa "scudo del popolo"), dal suo primo matrimonio con il re Autari fino alla morte. Per disegnare la vita di quella che venne definita dai contemporanei come un'instancabile pacificatrice, che convertì e integrò il popolo conquistatore, integrandolo ai goti-romani delle terre conquistate, l'iconografia dell'epoca trae ispirazione dalle vicende narrate in Historiae Langobardorum di Paolo Diacono, storiografo e maestro alla corte di Carlo Magno. Teodolinda, principessa bavarese, nipote del re longobardo Whaco, della stirpe di Leto, allevata nella famiglia cattolica di Gariboldo, re dei Bavari, viene ritratta da Diacono, attorno all'800, come un modello per i regnanti occidentali.
I popoli del nord erano completamente alieni al concetto di "persona" sviluppato nel II secolo dal vescovo Tertulliano e arrivato intatto almeno fino ai nostri giorni. Se alcuni di loro si erano convertiti nei decenni precedenti, non così i longobardi. La situazione politica e morale della classe dirigente pagana e ariana, all'arrivo di Teodolinda, può essere sintetizzata con un aneddoto non del tutto leggendario: la più nota regina che l'aveva preceduta, Rosmunda, moglie del re Alboino, aveva ordito l'assassinio del marito dopo essere stata costretta dal consorte ubriaco a bere vino dal cranio del padre.
Teodolinda fu sposa di Autari per un anno. Il re che aveva allargato i confini del regno sino a Reggio Calabria (non oltre la spiaggia: i longobardi avevano paura dell'acqua) morì avvelenato per una non insolita trama di corte e papa Gregorio I, che per convincere i barbari sapeva di non potere usare argomenti fini, ne approfittò per dichiarare che Dio l'aveva punito per aver bandito il battesimo cattolico. Narra Diacono che dopo la morte del marito Teodolinda, forte della sua discendenza letigia, poté conservare la regalità e scegliere come secondo marito il duca di Torino, Agilulfo, ariano e fedele alleato di Autari.
Quel matrimonio fu un bene per la Chiesa e per il popolo. Diacono racconta come dall'inizio del 700, sotto il governo di Agilulfo e poi sotto la reggenza di Teodolinda, in Italia si visse un quarto di secolo di buon governo, in pace e sicurezza. Fiorirono le arti e sorsero nuove chiese e i primi nuclei di importanti monasteri. Il patrimonio della chiesa rubato dai longobardi fu restituito dalla stessa Teodolinda, che insieme al marito aggiunse nuove importanti donazioni, tra cui il terreno che doveva servire al primo nucleo dell'Abbazia di Bobbio.
Questi atti, riportati da Diacono, sono descritti anche nell'ampio carteggio tenuto da papa Gregorio Magno con la regina longobarda fino alla sua morte. Rifacendosi a quelle lettere, nel 2008, papa Benedetto XIV aveva descritto il rapporto fra il pontefice e la regina longobarda come permeato da "amicizia" e "stima" reciproca. E non si può dire che per il papa fosse dovuto semplicemente all'amore paterno con cui redasse per la sua edificazione una delle sue opere più importanti, I dialoghi.
Sia politicamente che "pastoralmente", per Gregorio Magno la fede e le opere della regina longobarda, che definiva "figlia dilettissima" in una lettera al vescovo di Milano Costanzo, difendendola dai sospetti clericali e adducendo a "uomini malvagi" la difesa dello scisma tricapitolino, erano fondamentali. Anche per l'unità della Chiesa.