Riccioli di Big Bang nello specchio dell’Orso

Creato il 21 ottobre 2014 da Media Inaf

La delusione per il risultato pesantemente ridimensionato di BICEP2 – quelle impronte di onde gravitazionali rivelatesi con buona probabilità ombre di polvere galattica – almeno un risvolto positivo sembra averlo: i team rivali, ora che hanno superato lo shock, si stanno tutti rimettendo in pista. E molti risultati “minori”, spazzati via dall’annuncio dello scorso marzo, vengono poco a poco recuperati e rivalutati. Ultimo in ordine di tempo, l’articolo pubblicato ieri su The Astrophysical Journal dal consorzio del telescopio POLARBEAR per lo studio della polarizzazione del fondo cosmico a microonde. Sottomesso ad ApJ, come non mancano di sottolineare i ricercatori sul sito dell’Università di Berkeley, una settimana prima di quell’ormai storico 17 marzo 2014, l’articolo descrive la prima individuazione diretta dei cosiddetti “modi B” da lensing gravitazionale nella radiazione di fondo polarizzata.

Per non creare fraintendimenti, è importante circoscrivere con chiarezza la portata di questa scoperta, soffermandosi sulle due precisazioni: “diretta” e “da lensing gravitazionale”. Partiamo da quest’ultima, perché è quella che distingue il risultato di POLARBEAR (“orso polare”, in inglese, anche se il telescopio sorge in realtà sulle Ande cilene, nel deserto di Atacama) da quello di BICEP. Così come due sono i “modi” del segnale polarizzato a microonde – i “modi E” e i “modi B” – gli stessi “modi B”, quelli che contengono le informazioni più preziose, si distinguono a loro volta in primordiali e non primordiali. Ebbene, quelli che spera(va) di aver visto BICEP2 erano i modi B primordiali, dovuti alle onde gravitazioni sollevate immediatamente dopo il big bang dall’inflazione cosmica. E questi di POLARBEAR?

«Quella che abbiamo osservato è una radiazione un po’ meno primordiale rispetto a quella di BICEP», spiega a Media INAF Giulio Fabbian, ricercatore postdoc alla SISSA di Trieste, membro del consorzio di POLARBEAR e coautore dell’articolo appena pubblicato, «in quanto è generata principalmente dal lensing gravitazionale della polarizzazione primordiale che, appunto, viene distorta. Questa distorsione genera ulteriori modi B sulle piccole scale angolari, a differenza del segnale cosiddetto “inflazionario”, che ci attendiamo sia confinato alle grandi scale angolari».

Un risultato meno affascinante, dunque, questo di POLARBEAR, ma con il non trascurabile pregio di essere decisamente più sicuro: questa volta, garantiscono i ricercatori, l’origine è cosmologica, non siamo davanti a un’illusione creata dalla polvere galattica. E si tratta in ogni caso, sottolinea Fabbian, di «una misura estremamente difficile, che ha migliorato di svariati ordini di grandezza i limiti superiori posti dalle esperienze precedenti».

Bene, dunque. Ma cosa c’è di nuovo? Non li aveva già visti il South Pole Telescope, i modi B non primordiali dovuti al lensing gravitazionale? Sì. Ma a far la differenza è che questa volta si tratta di una misura diretta, ovvero che non dipende da modelli o dati prodotti da altri esperimenti. Misura che può avere importanti ricadute sulla comprensione del nostro universo. Nei “riccioli” della polarizzazione potrebbero infatti celarsi le chiavi d’accesso all’enigma della materia oscura o a quello della massa del neutrino.

Quanto ai modi B “nobili”, quelli primordiali, non è escluso che in un prossimo futuro POLARBEAR possa serbare qualche sorpresa pure su quel fronte. «Il telescopio è stato costruito anche per misurare i modi B primordiali», dice infatti Fabbian. «Nella prima stagione osservativa ci siamo dedicati alla rilevazione del lensing, dei modi B a piccole scale angolari. Nella stagione ora in corso, invece, stiamo anche noi osservando una porzione di cielo più grande, dove sarebbe possibile vedere un eventuale segnale proveniente dall’inflazione». Come sempre, si tratta d’avere ancora un po’ di pazienza. E di tenersi pronti a ogni evenienza, come sanno bene alla SISSA, dove non a caso, al piccolo gruppo che si occupa dell’analisi dei dati provenienti da POLABEAR, presto si aggiungeranno nuovi studenti.

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Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina


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