Ricerca USA: il 22% degli scienziati atei si definisce “spirituale”

Creato il 15 giugno 2011 da Uccronline

Un studio sociologo condotto da Elaine Howard Ecklundha della Rice University, ha recentemente rivolto la sua attenzione a scienziati e ricercatori universitari americani di alto livello, prendendo in considerazione in particolare coloro che si ritengono “atei”. Lo studio ha fatto il giro del mondo, ricevendo ampio spazio nei quotidiani internazionali.

Dei 1.700 scienziati intervistati, il 72% si è definito “spirituale” (anche se non sempre legati ad una religione), e tra i non credenti c’è anche un 22% che si è dichiarato “ateo spirituale”. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Sociology of Religion.

La sociologa Ecklundha, in un’intervista, ha spiegato che per queste persone, la spiritualità è qualcosa di veramente al di fuori di se stesse: «Non si tratta solo di sé, ma vogliono vedere qualcosa di più grande di loro che guida ciò che effettivamente fanno». Questi scienziati, continua la Ecklundha, sono realmente sinceri e avevano un modo codificato di parlarne. Erano cose in cui credevano. «Gli “scienziati atei spirituali” si considerano differenti dagli “scienziati atei”, che non sono spirituali. Essi stabiliscono un forte confine tra di loro e gli scienziati atei». La sociologa, durante le interviste con queste persone, ha anche notato che molto frequentemente questi “scienziati atei spirituali” avevano molto più a cuore le esigenze degli studenti e il loro modo di insegnare, rispetto agli atei non spirituali.

Ha continuato spiegando ancora più in profondità la visione di queste persone: «Non mi sorprende che ci siano scienziati che provino timore e mistero verso il mondo e che la scienza porti un senso di bellezza. Io credo però che sia sorprendente anche gli scienziati atei pensino a queste cose. Gli atei solitamente pensano che la scienza sia tutto ciò che c’è, tutto quello che c’era, e tutto ciò che ci sarà, che la scienza spiega tutto e non c’è niente al di fuori della scienza. Questo, per me, sembra essere una visione molto diversa rispetto a quella dello scienziato ateo spirituale che pensa che ci sia qualcosa d’altro al di fuori della scienza, che ci sia qualcosa là fuori che è più grande di loro, che ha presa su di loro. Ora, che può essere Dio e semplicemente non se ne rendono conto, non sono io, come ricercatrice, a doverlo giudicare. Ma loro non lo vedono come Dio, hanno questo senso di spiritualità che è diverso rispetto al grande pubblico e che è diverso dagli altri scienziati atei che non sono spirituali».

La sociologa spiega che vivono una spiritualità individualizzata, al di fuori delle figure religiose, desiderano ricercare la verità e ne affermano l’esistenza. Vivono lo stupore e il mistero ottenuto dalla loro scienza, parlano della bellezza della natura, della commozione per la nascita dei loro figli. Ma non spiegano tutto questo dal punto di vista scientifico, e affermano che debba esserci qualcos’altro al di fuori di se stessi. Anche se, «non credono in Dio, o non hanno la necessità di abbracciare il teismo di qualsiasi tipo». Questi scienziati non sono affatto ostili o indifferenti alla grandi domande sul senso della vita. La sociologa crede che si debbano «dissipare alcuni dei nostri stereotipi. Questo tipo di ricerca ha un sacco di conseguenze pubbliche per il modo di dialogare su questi temi. Le persone religiose possono così dialogare con questi scienziati, è un terreno comune e ci si può concentrare sulla analogie piuttosto che sulle differenze».