Ricercatore napoletano negli USA: “A Napoli mentalità mafiosa, o ti adatti o sei emarginato”

Creato il 16 marzo 2016 da Vesuviolive

Michele Pagano è un biologo cellulare, napoletano, ma direttore del dipartimento di biochimica e farmacologia molecolare e professore alla New York University School of Medicine, nonché investigatore della esclusiva Howard Hughes Medical Institute.

Diplomatosi al Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli, in pieno centro storico, fu qui che Michele ebbe il suo “ispiratore”: il professor Ugo Moncharmont. In un’intervista a Il Corriere del Mezzogiorno, racconta che: “Fu lui ad interessarmi alla biologia e alla ricerca. Durante gli anni del Liceo, di pomeriggio frequentavo i laboratori mantenuti con grandi sacrifici dal professor Moncharmont. Mio padre, Renato Pagano, pittore e medico cardiologo con studio a Via Foria voleva che io continuassi la sua professione. Ma sentivo che non avevo l’empatia di mio padre, non riuscivo a “comunicare nessuna certezza di guarigione” al paziente. Lui in questo era bravissimo e molto stimato dai pazienti. La medicina è un’arte più che una scienza. E’ dialogo e comprensione del paziente, un dialogo che aiuta a guarire e che io non so fare. Mi iscrissi a medicina, invece che a biologia, optando per la ricerca, come compromesso con mio padre.

Dopo la laurea in Medicina e Chirurgia al vecchio policlinico e specializzatosi in endocrinologia, si recò prima in Germania per un dottorato e poi negli Stati Uniti, dove iniziò la sua brillante carriera di ricercatore, incentrata sul funzionamento delle cellule dei mammiferi e anche dei tumori.

Quando parla di Napoli, descrive una città fantastica in cui la forza del popolo permette di sopravvivere a tante cose, ma che è anche una realtà difficile e limitante “dove ci si deve letteralmente adattare alle convenzioni o si rimane emarginato“. “Al di fuori della malavita, vedevo una mentalità mafiosa. Tutto passava attraverso le conoscenze, gli amici degli amici“, dichiara al Corriere.

Dice: “Io amo la lingua napoletana che è la mia lingua, prima dell’inglese e dell’italiano. Mi piace parlarla, leggerla ed ascoltarla. Amo la cultura napoletana col suo teatro, la musica, le canzoni, la cucina ed anche la saggezza dei suoi proverbi, la comicità, la sua ironia e persino quel suo misto di emozionalità e cinismo. Ed amo i suoi monumenti (notiamo nello studio del Professor Pagano varie foto di monumenti di Napoli: il Castel dell’Ovo, la certosa di San Martino, Piazza Plebiscito). I miei figli hanno sia il passaporto italiano che quello americano“, continua.

E sulla sanità italiana ed in particolare quella del sud, non è molto fiducioso: “Medici bravissimi e dedicati alla professione, ma ho timore di ammalarmi in Italia, soprattutto al sud, per via di infrastrutture carenti e di un sistema arretrato. Mia madre è deceduta per un errore medico in un ospedale napoletano, che evito di nominare. Fu uno strazio che ha lasciato una ferita aperta“, conclude.

Le parole di Pagano sono in parte vere, sulle infrastrutture carenti e su un sistema italiano non meritocratico, ma affermare che chi non si adatta alle convenzioni o alla mentalità mafiosa è un emarginato non è del tutto reale, ci sono napoletani e meridionali che ogni giorno combattono contro i pregiudizi e fanno di tutto per migliorare la propria terra, continuando a farlo senza espatriare e senza sentirsi emarginati.