Enrico Berlinguer nasce a Sassari il 25 maggio del 1922. Suo padre, Mario, era un avvocato, e fu parlamentare nella XXVII legislatura del Regno d’Italia e poi nella Consulta Nazionale e dalla prima, al Senato, alla quarta legislatura repubblicana, sempre nelle file del Partito Socialista Italiano.
Anche Enrico si iscrive a Giurisprudenza ma non riuscirà mai a prendere la laurea, “travolto” da quella passione politica che nel 1943 lo porterà a iscriversi al PCI. Fu subito molto attivo nei conflitti che agitarono la Sardegna negli ultimi due anni di guerra.
Nel 1945 entra nel Comitato Centrale del partito; dal 1949 al 1956 è segretario della FGCI, la federazione giovanile del partito. Alla morte di Stalin fu scelto per accompagnare Togliatti a Mosca per i funerali, il suo battesimo internazionale e una sorta di investitura ufficiale.
Nel 1968 viene eletto per la prima volta deputato, carica che mantenne fino alla sua scomparsa.
Nel 1969, in seguito a un malore che colpì il segretario del partito Luigi Longo, venne nominato vicesegretario e tre anni più tardi lo sostituì alla guida del partito.
Berlinguer ereditò un partito in forte ascesa che seppe guidare a grandi risultati in uno dei periodi più bui della storia dell’Italia repubblicana.
Nel 1973 in seguito al colpo di stato in Cile, dove il generale Pinochet eliminò il governo di centro sinistra diretto da Salvator Allende, portò il segretario del PCI a scrivere tre lunghi articoli su Rinascita, nei quali elaborò la teoria che fu chiamata compromesso storico e che ipotizzava, nel caso di forme di governo più avanzate in Italia, un accordo tra le forze politiche democratiche per evitare possibili soluzioni autoritarie traumatiche per la democrazia italiana. A questo fine sviluppò una serie di rapporti con il leader della DC Aldo Moro, che appariva il più disponibile a una nuova fase politica in Italia, con forme di partecipazione dei comunisti al governo.
Il 25 maggio del 1922 nasceva Enrico Berlinguer. Per ricordarlo sarà possibile acquistare su iTunes, dal 25 maggio, per un mese, l’applicazione a lui dedicata al prezzo speciale di 0.79 centesimi
Nel 1974 però il PCI si schierò contro il referendum che intendeva abolire la legge sul divorzio approvata pochi anni prima in Italia, referendum che fu invece cavalcato, e perso, dall’allora segretario della DC Amintore Fanfani.
L’Italia sembrava spostarsi a sinistra e le elezioni amministrative dell’anno successivo sembrarono confermarlo. Nelle grandi città furono elette giunte di sinistra in molti casi guidate da comunisti: Valenzi a Napoli, Novelli a Torino, Zangheri a Bologna. E nel 1976 fu la volta di Argan a Roma e di Tognoli, socialista, a Milano.
Sempre nel 1976, con il 34,4% dei voti, il PCI raggiunse il massimo consenso mai avuto alle elezioni politiche.
Cominciavano gli anni della solidarietà nazionale, dei governi di unità nazionale, con i comunisti che per la prima volta entrarono nella maggioranza pur senza mai entrare nel governo.
Il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro segnarono in qualche modo la fine di questa esperienza politica. Moro era stato l’interlocutore principale di Berlinguer, era lui che era riuscito a convincere la DC a rompere il tabù di un’alleanza con il PCI.
Nel 1979, dopo elezioni che segnarono una flessione di quattro punti dei comunisti, Berlinguer iniziò il processo che di lì a un anno riportò il partito all’opposizione. Gli ultimi anni della segreteria della sua segreteria furono segnati da una denuncia costante della corruzione della classe politica italiana.
In politica estera l’opera di Berlinguer non fu nemmeno rivoluzionaria: da un iniziale filosovietismo, che lo portò a giustificare l’invasione dell’Ungheria del 1956, divenne il teorico e il maggior fautore dell’eurocomunismo, accentuando sempre più l’autonomia da Mosca, fino a condannare l’invasione dell’Afghanistan e ad affermare che la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre si era ormai esaurita nel 1981.
Berlinguer fu senza dubbio uno degli uomini politici più amati dai militanti del suo partito, ma seppe anche conquistare il rispetto degli avversari politici. La prova la si ebbe in occasione della sua morte, morte avvenuta sul campo, durante un comizio elettorale a Padova, che volle testardamente concludere anche quando si erano fatti evidenti i segni dell’ictus che lo aveva colpito. Morì in ospedale l’11 giugno, e fu trasportato a Roma su un aereo messo a disposizione dal presidente della Repubblica Sandro Pertini, che espresse i suoi sentimenti con una breve sintetica frase: “Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta”.
Nella camera ardente, allestita nell’ingresso della direzione del Pci, la sua salma fu omaggiata da personalità internazionali come Gorbaciov e Arafat, da uomini di cultura e di spettacolo e dai rappresentanti di tutti i partiti politici compreso Giorgio Almirante, segretario del Movimento sociale italiano.
Al funerale pubblico presero parte più di un milione di persone, tra pianti e sincera commozione.
Quattro giorni più tardi, il 17 giugno 1984, si tennero le elezioni europee. Il Pci aveva mantenuto simbolicamente come capolista il nome di Enrico Berlinguer. Per la prima e unica volta, il Pci superò la Dc, 33,3% contro il 33%. Il “sorpasso” fu generalmente attribuito all’effetto Berlinguer.