Ricordi degli del Boom economico

Creato il 11 dicembre 2013 da Albix

Nel 1965, in pieno boom economico, il mio fratello maggiore, che sin dal 1957 era impegnato come coadiuvante nell’azienda paterna, iniziò la sua terza battaglia sindacale.

Le prime due le aveva praticamente perse; la sua prima rivendicazione l’aveva avanzata dopo pochi anni dal suo inserimento in ditta,  chiedendo di fare l’orario continuato; il motivo della sua richiesta era semplice e plausibile allo stesso tempo: nel mio paese tutti gli amici di mio fratello, studenti o lavoratori che essi fossero, alle cinque del pomeriggio uscivano in piazza oppure affollavano i  bar o i pochi circoli allora esistenti; alle nove di sera, dopo la chiusura della orologeria-gioielleria dove mio fratello collaborava e dopo la cena,  che mio padre esigeva di consumare di tutti insieme, mio fratello usciva e non trovava più nessuno dei suoi amici, soprattutto in inverno. A forza di insistere, ottenne di chiudere una mezz’ora prima il negozio e di potere uscire direttamente in piazza (posticipando la cena al suo rientro) e qualcosa, magari in estate, migliorò nelle frequentazioni serali di mio fratello; ma restò in mio fratello al convinzione che il suo miglior tempo stesse passandogli tra le dita, causandogli sofferenza e frustrazioni; mentre mio padre non volle recedere dalla sua idea che l’età migliore per impara difficile come quella del riparatore di orologi fosse proprio quella dell’adolescenza; e che comunque la compagnia dei “vagabondi” (come mio padre chiamava gli amici di mio fratello che trascorrevano le serate in piazza) sarebbe stata un viatico negativo per mio fratello.

La seconda battaglia fu persa solo a metà; mio fratello pretendeva il sabato e la domenica assolutamente  liberi; mio padre cedette sulla domenica ma non volle sentire ragioni sul sabato mattina;  e sui sabato sera,  a ridosso delle festività in cui il commercio degli oggetti d’oro e degli altri regali subiva significativi impulsi ( soprattutto Natale e Pasqua; ma anche in occasioni delle Cresime e delle Comunioni) pretese la sua presenza in negozio.

La terza battaglia, quella del 1965, fu vinta però in pieno. Mio fratello chiese ed ottenne un mese di ferie. Non so se fu l’effetto del boom economico o l’intervento favorevole di mia mamma, o il giusto riconoscimento di quanto mio fratello aveva fatto per l’azienda paterna sin dal 1957, ma mio padre acconsentì a lasciare libero mio fratello per un mese intero.

Mio fratello aveva programmato di passare un mese al mare del Poetto, con certi suoi amici che avevano goduto delle sue stesse concessioni: i fratelli Biondo. All’epoca la patente veniva rilasciata soltanto dopo i 21 anni e mio fratello, che allora di anni ne aveva appena 18,  dovette accontentarsi di un abbonamento ferroviario. Mio fratello  acconsentì di buon grado a portarmi con sè; così anche io ebbi il mio bravo abbonamento mensile per viaggiare in treno sino a Cagliari che, come d’altronde oggi, dal mio paese si raggiungeva in meno di un’ora; da lì prendevamo poi il tram che ci avrebbe portato alla bella spiaggia cagliaritana.

Il pranzo lo preparavamo la sera prima: nei giorni feriali uova sode, tonno in scatola, sardine, pane, pomodori e lattuga, un po’ di frutta; la domenica mamma ci preparava la pastasciutta o la pasta al forno,  le cotolette alla milanese e  le patate fritte; poco importa se all’ora di pranzo tutto era già freddo. L’appetito non ci mancava di certo. I baretti del baretto fornivano dei tavolini a condizione che si consumassero le bibite; i miei fratelli preferivano la birra Jchnusa, bella e fresca; io che la trovavo troppo la mischiavo cen certe gazzose locali (forse la marca era Fadda ma non ci giurerei), altrettanto gustose e fresche.

Dopo pranzo due dei fratelli Biondo, che avevano la ragazza, sparivano chissà dove; forse si imboscavano sotto qualche casotto o, addirittura, dentro le confortevoli case di leggno che allora occupavano in parte l’immenso arenile di sabbia fine del Poetto, mentre mio fratello e il terzo fratello biondo andavano a caccia di bellezze da spiaggia. Io ero proppo piccolo per quel genere di caccia e comunque non avrei mai osato neppure chiedere di essere aggregato a quella pratica per me così difficile e misteriosa di corteggiare delle ragazze  che, nella mia ingenuiità adelescenziale ritenevo ben contente di starsene da sole senza che certi mosconi (come mio padre definiva i ragazzi che ronzavano attorno alle ragazze) le facessero oggetto di complimenti ed attenzioni.

A dispetto del loro cognome i fratelli Biondo incarnavano il prototipo del maschio sardo: carnagione e capelli scuri; statura non troppo elevata; baffi  neri e folta peluria nera distribuita anche quella secondo i canoni locali: nel petto, nelle gambe e nelle braccia. Il terzo dei fratelli, quello che non era fidanzato, in realtà era quello più intraprendente e affascinante dei tre; capii presto che non si era fidanzato perchè gli piaceva svolazzare da un fiore all’altro senza mai impegnarsi con alcuna; scoprii che Efisio (questo era appunto il suo nome) era un vero e proprio dongiovanni che collezionava conquiste su conquiste, facendo crollare con incredibile destrezza, quegli alti muri che allora le donne avevano per consuetudine e costume di frappore ai corteggiatori, affinchè essi non le considerassero  ragazze  troppo facili da conquistare o, peggio ancora, delle  sciacquette di poco conto.

Così trascorse quella magica estate del 1965.

E’ uno dei pochi ricordi di gioia e di serenità che ho di mio fratello maggiore.

Più tardi infatti, le sue continue ed irruenti rivendicazioni, quasi sempre destinate ad infrangersi contro il carattere altrettanto irruento e testardo di mio padre, lo portarono ad abbandonare la casa paterna.

E se la fortuna gli arrise negli affari, non si può certo dire che fu altrettanto benigna con lui per quanto riguarda il suo equilibrio affettivo e la sua serenità d’animo.


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