STORIA DEL MOVIMENTO STUDENTESCO ROMANO
CAPITOLO III
“Fantasio tu hai detto che il vostro movimento fu “estremizzato” e poi criminalizzato: mi vuoi spiegare come accadde ciò? Come fu che da beniamini del mondo culturale voi diveniste nell’opinione della gente comune dei quasi terroristi? Quando avvenne il punto di svolta?”
“Ti posso rispondere per quel che riguarda l’Università di Roma. Furono la battaglia di Valle Giulia, la vendetta della polizia a piazza Cavour e l’intervento della banda di Caradonna all’Università i momenti della svolta. Prima di allora fra le forze della polizia e gli studenti non c’era animosità e odio profondo. Gli studenti riconoscevano che coloro che portavano l’uniforme erano figli di contadini e di operai: si gridava nei loro confronti con ironia ma senza disprezzo lo slogan: “Operai volete che i vostri figli vadano all’Università? Arruolateli nella polizia.” Con ciò si voleva alludere, oltre che alla presenza dei poliziotti in uniforme, ad un’altra presenza che molti sospettavano, cioè alla discreta sorveglianza delle assemblee e dei cortei da parte di poliziotti vestiti da studenti. Dopo Valle Giulia i rapporti andarono progressivamente e velocemente deteriorandosi. I sassi di Valle Giulia lasciarono il segno non soltanto nei corpi dei poliziotti, ma anche negli animi e nelle menti.
In essi crebbe il rancore contro quei “figli di papà” che si permettevano di insultare loro, figli di contadini. Effettivamente, specialmente dopo l’intervento della banda Caradonna all’Università ed il suo salvataggio per opera della polizia, gli slogan nei confronti dei poliziotti divennero più cattivi. Si cominciò a gridar loro “servi dei padroni”. Ci si mise pure Pasolini con una sua poesia, che sembrò ostile verso gli studenti ed invece era profetica, che pressappoco diceva: “Non posso essere solidale con voi che a Valle Giulia avete mostrato il disprezzo dei borghesi nei confronti dei figli degli operai”. I commentatori critici della poesia dimenticarono di dire che l’Io narrante nella poesia era un militante del partito comunista e veramente dopo i fatti di Valle Giulia questa opinione verso il movimento degli studenti si diffuse nel mondo operaio e i sindacati e i partiti della sinistra gli divennero ostili.
Dall’altra parte ci furono voci di gravi maltrattamenti nei confronti degli studenti arrestati, si parlava di giovani fatti passare in mezzo a due file di poliziotti che li bastonavano. Apparvero sui giornali foto che mostravano gruppi di poliziotti manganellare studenti inermi.
Io ho partecipato a molte manifestazioni, non ho mai assistito a scene di particolare ferocia da parte della polizia, però voglio dire che quando a Piazza Cavour e a Valle Giulia e a Piazza Colonna avvennero le cariche della polizia, il mio principale intento fu subito quello di allontanarmi il più velocemente possibile dai punti pericolosi, e in ciò obbedivo ad un istinto primordiale, oltre che a ricordi dolorosi, quindi non sono stato a guardare quello che accadeva lontano da me, e le voci dei maltrattamenti io le ho udite da gente degna di fede. Posso anche dire che i caroselli delle jeeps della polizia facevano veramente paura perché si lanciavano sulle strade affollate e persino sui marciapiedi a grande velocità ed in più di un’occasione causarono feriti, ed anche le bombe lacrimogene, usate in grande quantità, se colpivano qualcuno, facevano male, e i gas lacrimogeni potevano avere conseguenze dannose sugli occhi dei malcapitati studenti. Io stesso in quel periodo cominciai a soffrire di una congiuntivite che mai più mi ha lasciato.
Mi torna in mente la polemica ottocentesca sulla “ cecità del soldato”, malattia che colpiva i soldati ed era forse dovuta agli effetti della polvere da sparo , però chi lo diceva passava guai. Ed anche la recente polemica sugli effetti delle bombe all’uranio arricchito. Chi spera che le autorità facciano luce su questi argomenti deve considerarsi un illuso. Ovviamente una congiuntivite per quanto fastidiosa non può paragonarsi a queste altre malattie, però le autorità dovrebbero preoccuparsi di non esporre i cittadini inermi e nemmeno i soldati ai rischi dovuti all’uso di armi improprie.
Comunque l’informazione che i giornali diedero su quegli eventi fu sempre parziale, talvolta mirante ad aggravare i fatti – quelli compiuti dagli studenti- e talaltra a sminuirli, sempre privilegiando la versione delle autorità, sia accademiche che politiche. Mentre il numero dei poliziotti feriti si conosceva ed era pubblicizzato, nessuno seppe mai con esattezza il numero degli studenti feriti, perché chi poteva si faceva curare privatamente. La cosa peggiore fu che sui maltrattamenti avvenuti nelle questure non si fece mai luce; a quello che io so non ci furono indagini nè processi, nonostante che alcuni giornali a lungo ne avessero parlato. Ed io ancor oggi provo rimorso per non aver a quel tempo seguito la sorte dei tanti studenti arrestati nelle manifestazioni. Fu un errore non solo mio, ma di tutto il Movimento e più che un errore fu una colpa, questa poca solidarietà nei confronti di chi si trovò in guai seri.
A mia discolpa posso dire che a quel tempo io conservavo una opinione “buona” degli uomini e perciò non credevo a chi raccontava episodi di crudeltà e questo mio “ottimismo” ha fatto sì che io anche in seguito e fuori d’Italia mi esponessi a grossi rischi. Una certa fama di “incosciente” mi ha sempre seguito.
Dunque gli scontri di piazza, le voci dei maltrattamenti, i feriti di entrambe le parti valsero a spingere il movimento verso posizioni estreme.
Ma nello stesso periodo ci furono fatti ben più gravi: la strage di Piazza Fontana, la successiva caccia all’anarchico, la morte misteriosa di Pinelli e le dichiarazioni del questore Guida.
“E’ chiaro sono stati gli anarchici, hanno voluto colpire i simboli del “sistema borghese” che essi combattono, le banche, l’altare della patria”. L’anarchico si trovò subito: Valpreda.
Come ha fatto la polizia ad arrivare subito a lui ed al movimento 22 marzo? Allora c’erano a Roma e in Italia decine di gruppuscoli ben più forti e numerosi di quello.
Ammesso che gli attentati provenissero dalla sinistra extra parlamentare, la polizia avrebbe dovuto compiere un lavoro immenso per scandagliarli tutti, sottoporre a controllo migliaia di persone prima di individuare un possibile sospetto. Ma in un paio di giorni si arrivò al gruppo 22 marzo, a Valpreda e Pinelli. Come fu possibile ciò?
C’è solo una spiegazione logica: quel gruppo era il colpevole predestinato, già prima dell’attentato si erano organizzate le cose in modo che i colpevoli fossero individuati in quel gruppo, e Valpreda quando ciò accadde si trovava a Milano.
Ma anche dall’altra parte ci fu un atteggiamento sospetto: si cominciò a parlare di “strage di Stato”, perché strage di Stato? Si doveva semmai parlare di “strage contro lo Stato”. Perché – si diceva – la strage era stata compiuta con la complicità di organi dello Stato. Organi dello Stato? Attenzione! Si può semmai parlare di persone che ricoprivano un ruolo in organi dello Stato, le quali in complicità con ambienti esterni avevano organizzato la strage, o l’avevano coperta o avevano manovrato in modo da indirizzare la ricerca dei colpevoli verso certi settori, e ciò allo scopo di sovvertire l’ordinamento democratico dello Stato. Quindi, questa è la mia tesi, si doveva parlare di strage contro lo Stato.
L’interpretazione che il movimento diede di questi fatti fu una: “Ci vogliono criminalizzare, vogliono farci apparire come sanguinari assassini, vogliono gettare il paese nel caos e forse in qualche caserma è già pronto il “salvatore della patria”.
E questa interpretazione era probabilmente quella giusta: la strage che colpisce persone innocenti non si può inserire nella strategia di un movimento che si proclama rivoluzionario e popolare, le cui azioni devono sempre avere come fine quello di allargare il consenso attorno alle proprie iniziative.
L’attentato contro un dirigente politico che sia impopolare, o contro un dirigente d’azienda o contro una personalità qualsiasi che abbia un ruolo notevole nel campo avversario può apparentemente essere giustificata in questa ottica, pur deforme. Ma la strage di persone innocenti non lo può. Il più fanatico degli estremisti politici sa bene che sarebbe un suicidio ricorrere a questo tipo di azioni, perché l’opinione pubblica di qualsiasi tendenza non prova altro che rabbia ed orrore nei confronti di tali gesti. Mi preme ricordare che queste bombe fecero vittime fra gente italiana non fra stranieri occupanti.
Ed infatti mentre gli attentati contro singole personalità sono state quasi sempre rivendicate dai gruppi che le hanno eseguite, le stragi, da quella della Banca d’Italia a quella di Brescia a quella di Bologna, non lo sono state mai.
Per la semplice ragione che con questi attentati non si voleva colpire un “obiettivo nemico”, lo scopo era quello di suscitare nell’opinione pubblica rabbia e orrore e quindi, di converso, il desidero che la “legge e l’ordine” fosse ristabilita.
Lo stesso scopo si può raggiungere alimentando una campagna terroristica nella quale i terroristi di varie fazioni si uccidono fra di loro, ma anche dando eccessivo rilievo a fatti di criminalità comuni. In Italia il generale che volesse far marciare le divisioni allo scopo di imporre lo “Stato forte” non ci fu, però i giornali ampiamente parlarono di tentativi di colpi di Stato organizzati dalle destre con la complicità dei servizi segreti e anche la magistratura indagò su questi fatti ed alcuni generali furono processati.
L’interpretazione che il movimento diede dei fatti di Milano fu giusta, ma la reazione sbagliata.
Individuato il pericolo, bisognava mobilitarsi a difesa della democrazia e in effetti le reazioni della sinistra istituzionale andarono in questa direzione, ma nel movimento prevalse l’altra tesi: “Ci vogliono distruggere, preparano il colpo di Stato, quindi anche noi dobbiamo prepararci alla difesa, alla violenza si può rispondere solo con la violenza, il nemico è lo Stato, dobbiamo combattere lo Stato”.
Questa dicono che fosse la tesi di Feltrinelli – e la morte misteriosa dell’editore sembrò confermarla.
Va detto che nel movimento nessuno mai credette alla favole della bomba esplosa mentre Feltrinelli stava per far saltare un traliccio. Come può venire in mente ad un uomo ricco, potente, l’idea di mettersi sulle spalle una carica di tritolo ed andare a far saltare un traliccio dell’Enel? Ma questa fu la versione ufficiale. Si disse pure che Feltrinelli aveva preso contatti con alcuni banditi sardi per organizzare una guerriglia indipendentista in Sardegna.
Nacquero così i presupposti e la giustificazione ideologica della lotta armata. Mancavano ancora i soldati. Negli anni delle manifestazioni molti studenti avevano interrotto gli studi per dedicarsi anima e corpo al movimento.
Molti altri si laurearono, ma si erano troppo compromessi per potersi inserire nella società. Lo statuto dei lavoratori vieta alle aziende di assumere o licenziare in base alle opinioni politiche dei dipendenti. Quanto questa legge sia rispettata, ho potuto constatarlo sulla mia pelle. Io avevo partecipato attivamente all’occupazione di ingegneria, tuttavia ufficialmente non ero “compromesso” né “schedato” in quanto non ero mai stato fermato dalla polizia, non avevo conosciuto le stanze della questura, né mai avevo commesso azioni violente. E tuttavia quando dopo la laurea cercai lavoro, tutte le porte mi furono chiuse, dovetti emigrare.
Molti studenti del movimento dopo la laurea rimasero disoccupati e senza alcuna prospettiva di trovare lavoro. Altri avevano conosciuto il carcere e, dopo, l’emarginazione. Ma nel carcere erano entrati in contatto con elementi della malavita comune che essi cercarono di politicizzare, riuscendovi talvolta, e imparando da essi l’uso delle armi e della violenza come metodo per risolvere le questioni politiche. E ci furono persino alcuni carcerati per reati comuni che furono politicizzati dagli studenti: secondo autorevoli giornali lo stesso Feltrinelli tentò di fare del bandito Mesina un guerrigliero, uno “Che Guevara sardo”.
Del resto una nuova teoria politica stava nascendo: la classe operaia era ormai “integrata”, i dirigenti dei partiti della sinistra tradizionale erano “imborghesiti”. Gli unici in grado di accogliere un messaggio “rivoluzionario” erano gli emarginati delle borgate, i disoccupati, ed i più disperati fra questi: i detenuti e gli ex detenuti.
Nacquero così i primi nuclei di borgata.
“Che mi dici Fantasio della nascita delle BR, del delitto Calabresi, del delitto Moro…” “Proprio niente ti dico, in questo libro io racconto delle mie esperienze personali e di ciò che logicamente posso dedurre dalle mie esperienze . Quando avvennero i fatti di cui mi parli io già non ero più in Italia.
Sul terrorismo ricordo di aver letto una favola che ti voglio raccontare:
Un pastore avido possedeva un gregge di pecore che tosava senza pietà fino a scorticarle. Per quanto miti, le pecore si stancarono di subire tutte quelle vessazioni e cominciarono a fuggire; ogni volta che, dopo il pascolo, le riportava all’ovile, il pastore si accorgeva che qualche pecora mancava. Che fare per riportare l’ordine?
Chiese consiglio al Gran Pastore dei Pastori. “libera il lupo- disse costui- e poi spargi la voce che il lupo è nelle vicinanze, le pecore torneranno spontaneamente all’ovile”
Avvenne proprio così, ma non fu più possibile catturare il lupo che ancora si aggira attorno agli ovili.
Ti posso anche dire, non so se come aggravante o a parziale discolpa della classe politica italiana che la repressione avvenne a livello mondiale, in coincidenza o preceduta o immediatamente seguita dalla morte per mano violenta o naturale delle grandi personalità che sostenevano il movimento:
Che Guevara, Martin Luther King, Ho Chi Min, Mao Tse Tung, Sartre, Bertrand Russell e molti altri che, celebri un tempo, improvvisamente scomparvero dai giornali. Contro la famiglia dei Kennedy in America si scatenò una vera e propria campagna di linciaggio morale .
Fuori d’Italia la repressione fu più violenta: colpi di stato militari in Sud America con stragi e “desaparecidos” a migliaia, intervento militare russo in Cecoslovacchia, colpo di Stato sanguinoso in Indonesia, messa al bando delle “Guardie Rosse” in Cina, colpo di Stato in Grecia. In controtendenza la rivoluzione dei militari portoghesi che posero fine alla dittatura di Salazar e restituirono l’indipendenza alle colonie portoghesi dell’Angola e del Mozambico. Purtroppo in questi paesi scoppiarono sanguinose guerre civili.
In Cile la breve esperienza socialista di Allende fu soffocata dai militari di Pinochet.
Il movimento del ’68 fu differente dai movimenti rivoluzionari dei secoli scorsi poiché a scendere in piazza e a manifestare chiedendo un radicale cambiamento della società, non furono le masse proletarie, ma furono studenti ed intellettuali, perciò la repressione violenta del movimento ebbe come prima conseguenza quella di decapitare molte nazioni privandole della futura classe dirigente.
Fu così che quando in molti paesi fu ristabilita la democrazia venne a mancare tutto quel ceto che avrebbe potuto guidare un cambiamento sostanziale della società.
Scomparve la dittatura dei militari ma rimase al potere una classe politica ancorata alle idee precedenti il ’68, anzi alle idee del secondo ottocento, quelle che portarono alla grande guerra. Gli ideali del socialismo furono dovunque sopraffatti.
Qualcosa di simile accadde nell’Italia subito dopo l’unità quando garibaldini e mazziniani che più e meglio avevano combattuto per l’indipendenza furono messi al bando e perseguitati: anch’essi, a differenza di quanto generalmente si crede, venivano per la maggior parte dai ceti intellettuali e borghesi, pochi furono i contadini e operai che si unirono ai patrioti, e invece molti furono quelli che si unirono ai briganti.
Dal Romanzo inedito di Angelo Ruggeri