Ricordi del ’68

Creato il 29 maggio 2014 da Albix

Capitolo 4

La morte dello studente Paolo Rossi e la prima occupazione dell’Università di Roma

Ricordo che eravamo in periodo elettorale: gli studenti eleggevano i loro rappresentanti ai consigli studenteschi di Facoltà.

Prima dell’esplodere del movimento studentesco che fece piazza pulita delle vecchie organizzazioni, le associazioni degli studenti erano più o meno apertamente legate ai grossi partiti politici nazionali. Le più importanti erano la G.A, i Goliardi autonomi che raggruppava socialisti e comunisti, poi c’era la FUCI che riuniva i cattolici e vantava un ex Presidente prestigioso, l’Onorevole Aldo Moro, poi c’erano la Caravella legata alle destre fasciste e l’AGIR, destre liberali.

I cattolici e le sinistre erano spesso alleati. Queste organizzazioni però riunivano una piccolissima minoranza di studenti, la percentuale di quelli che partecipavano alle elezioni variava tra il 20 – 30% ma gli studenti attivi nell’azione politica erano una sparuta minoranza. Proprio in quell’anno aveva fatto il suo ingresso nell’Università una nuova lista “la Primula” ispirata dall’Onorevole Pacciardi un transfuga del Partito Repubblicano che si era fatto sostenitore di una Repubblica Presidenziale forte.

Questa lista era abbastanza aggressiva e disponeva di notevoli finanziamenti. A quel che io ricordo le elezioni, nelle quali ero candidato per la G.A, si svolsero almeno nella Facoltà di Ingegneria regolarmente.

Ma ci furono voci di brogli e denuncie. Ci fu qualche tafferuglio. Io non so cosa esattamente accadde ma ci fu un morto, lo studente di sinistra Paolo Rossi: si disse che era morto cadendo da un muro mentre fuggiva da alcuni aggressori fascisti.

In conseguenza di questa morte l’Università fu occupata. Ci fu una grossa manifestazione al suo interno alla quale partecipò l’Onorevole Ferruccio Parri, assieme ad altri esponenti della sinistra e ad alcuni professori cattedratici.

I giornali delle destre tuonarono contro questo ingresso della politica nell’Università. Il rettore Papi dichiarò che essendo lo scopo dell’Università eminentemente didattico – scientifico egli non poteva tollerare questa intrusione dei partiti nel tempio del sapere.

Si dimise perciò. L’elezione di un nuovo rettore riportò sul momento la tranquillità. Le elezioni studentesche di quell’anno furono annullate. Ma ormai il clima nell’Università era cambiato. La politica aveva fatto il suo ingresso ed io intendo con la parola “politica” un qualcosa di assolutamente positivo: gli studenti cominciarono a discutere in libere assemblee non soltanto sui problemi studenteschi, come mensa universitaria e dispense per lo studio, ma anche  sui più vasti problemi sociali.

Io mi chiedo ancora oggi: l’Università aveva il compito di preparare la classe dirigente del domani, come avrebbe potuto farlo continuando ad ignorare quanto accadeva al di fuori delle sue mura?

Era il tempo nel quale in tutta l’Europa Occidentale ed anche in America gli studenti scendevano nelle piazze contro la guerra nel Vietnam, contro il razzismo, contro la dissennata legge del profitto che non rispettava né uomini, né città, né campagne.

In Italia si era allora in pieno boom economico ma il grande sviluppo era principalmente dovuto al petrolio a buon mercato, ed a un’industrializzazione selvaggia che non rispettava l’ambiente naturale.

Milioni di contadini avevano abbandonato le campagne specialmente nelle zone collinare e montane e si erano trasferite nelle grosse borgate che crescevano disordinatamente attorno alle grandi città.

Si cominciò allora a pensare che uno sviluppo così disordinato avrebbe avuto gravi conseguenze nel futuro, e gli studenti universitari vollero far sentire la propria voce su questi problemi.

Potremmo dire delle vicende del movimento studentesco quello che le nostre canzoni dicono dell’amore:

“L’amor comincia con suoni e con canti e finisce con dolori e pianti”

Ma sarebbe improprio perché l’occupazione dell’Università di Roma fu originata dalla morte di uno studente.

Io però non rimpiango i tempi precedenti, quelli della vecchia goliardia quando nei viali dell’Università si dava la caccia – per soldi – alle matricole e si cantavano in coro le “osterie”.

Un discorso a parte meritano le parole del rettore Papi successive alla grande manifestazione commemorativa della morte dello studente Paolo Rossi:

“E’ inconcepibile che alla radio, alla televisione, in orazioni funebri, educatori si abbandonino ad affermazioni le più diffamatorie, prive del più lontano indizio di prova per eccitare gli animi dei giovani all’odio, alla violenza, alla sopraffazione”.

Tra gli oratori di quella manifestazione c’era l’Onorevole Ferruccio Parri, uomo di sicura fede democratica e di grande prestigio morale, il primo capo di Governo – e rimasto unico – della Repubblica democratica italiana nata dalla resistenza antifascista, il quale nel 1947 fu anche la prima vittima della “guerra fredda”, quando forse anche su pressioni esterne all’Italia, fu in malo modo costretto alle dimissioni, per lasciare il posto ai vecchi notabili del pre-fascismo ed ai nuovi della Democrazia cristiana ,partito eterogeneo che racchiudeva molte anime.

Parri pur essendo idealmente schierato con le sinistre, non era legato ad alcun partito politico, si richiamava agli ideali garibaldini e mazziniani del vecchio partito d’azione e nel panorama politico italiano, la sua era sempre una voce libera e rispettata.

Io non lo udii in quella manifestazione, ma l’ho ascoltato in altre, mai l’ho udito incitare all’odio o alla violenza ed invece esortava alla calma ed alla ragionevolezza.

Così maltrattato in quell’occasione dalle autorità accademiche e dalla stampa anche Parri da allora tacque.

A tutt’oggi, dopo matura riflessione, io sono persuaso che aver chiamato la polizia all’interno dell’Università di Roma per cacciar via la politica fu un grave delitto.

Passò circa un anno da quell’episodio ed il movimento riprese vigore, ormai gli studenti , una parte di loro, avevano compreso che la politica non era necessariamente una cosa sporca e, se lo era, questa era una ragione di più per non lasciarla in mano ai politici di professione . “Riprendiamoci il nostro futuro”, si cominciò a dire ed alcune facoltà furono occupate con lo scopo di discutere sul nuovo progetto di riforma del ministro Gui ( In seguito travolto da non so quale scandalo, che anche travolse il ministro Rumor, anche lui compromesso nei vari progetti di riforma universitaria. Forse è una semplice coincidenza  ma tutte le maggiori personalità politiche italiane di quel periodo furono estromesse in malo modo, Leone, Tanassi. La tragica morte dell’onorevole Moro ha fatto dimenticare tutto il resto.)

La battaglia di Valle Giulia (1° marzo 1968)

La facoltà di architettura era stata occupata dalla polizia che ne aveva espulso gli studenti. Partì un corteo dall’Università per andare a Valle Giulia. Non c’erano idee precise fra gli studenti su cosa fare una volta arrivati.

I più volevano una manifestazione pacifica, alcuni dicevano che si doveva liberare la facoltà dalla polizia che l’occupava.

Il corteo attraversò le vie del centro senza che vi fossero  incidenti, scortato da pochi poliziotti. Si arrivò a Villa Borghese, la facoltà era presidiata da un numero esiguo di forze dell’ordine. Non so come iniziarono gli scontri, all’inizio sembrò che gli organizzatori della manifestazione, i capi degli studenti o quelli autonominatisi capi volessero parlamentare.

Ma all’improvviso, per iniziativa non  so di chi, iniziò una fitta sassaiola contro i poliziotti, molti dei quali caddero colpiti. Fu l’inizio della guerriglia, i poliziotti erano troppo pochi per essere in grado di disperdere i quattro, cinquemila manifestanti, rimasero perciò sulla difensiva.

Arrivarono in loro soccorso le prime camionette della Celere. Ma il terreno di Villa Borghese non si prestava alle tradizionali cariche dei mezzi della Celere poiché gli studenti, spostandosi sui prati ai lati delle strade bersagliavano dai bordi rialzati, con sampietrini e sassi i poliziotti dentro le camionette.

In questa fase per la prima e forse unica volta nel corso di una manifestazione di studenti a Roma i poliziotti ebbero la peggio. Molti furono i loro feriti, si disse attorno ai duecento, una diecina di camionette abbandonate dai celerini, non so come, presero fuoco.

Molto tardi i poliziotti si presentarono sul campo con forze sufficienti, ed io ricordo che arrivarono prima i vigili del fuoco che i rinforzi della polizia. Il contrattacco della polizia, condotto con forze soverchianti,  fu più metodico che violento, ricorrendo alla sperimentata tecnica delle retate, cioè, piuttosto che affrontare gli studenti nel corpo a corpo, i poliziotti si disposero su una lunga linea chiudendo tutti i varchi e bombardando al centro la massa degli studenti in ritirata coi gas lacrimogeni. In breve la gran parte dei prati di Villa Borghese, da Valle Giulia fino al Pincio, – la via di ritirata più percorsa – fu satura dell’acre odore dei gas lacrimogeni.

Moltissime persone furono prese nelle retate e portate in questura, tra le quali molti turisti e molte coppiette di innamorati. Nei giorni seguenti fra gli studenti circolarono voci che quanti erano stati presi e portati in questura erano stati picchiati subendo la “tortura del tunnel”, cioè venivano fatti passare tra due file di poliziotti, ognuno dei quali dava una manganellata o uno schiaffo.

Io ho partecipato a tutta la manifestazione di Valle Giulia anche se non sono intervenuto direttamente negli scontri, cioè non ho né tirato sassi né ingaggiato lotte e ricordo che subito  nei giorni seguenti ho cominciato ad avere qualche dubbio: perché, pur essendo noto che un corteo di quattro/cinquemila studenti si stava avviando verso la facoltà di architettura con l’intenzione di “liberarla”, questa fu lasciata pressoché sguarnita ovvero presidiata da un numero di poliziotti assolutamente non in grado di dissuadere quanti nutrissero intenzioni violente?

Perché, iniziati gli scontri, la celere tardò tanto ad intervenire e perché in un primo tempo arrivò con forze assolutamente insufficienti? Perché mandare i poliziotti a far caroselli dentro camionette scoperte in un terreno così accidentato?

Io sospettai: si voleva lo scontro, si cercava la battaglia ed erano necessari i feriti.

Da quello che io ho visto, temo che le autorità abbiano poi sottovalutato non tanto il numero quanto la gravità dei feriti: anche fra i poliziotti qualcuno può essere rimasto ferito gravemente.

La banda Caradonna all’Università di Roma (16 marzo 1968)

È passato tanto tempo e gli avvenimenti si sono affastellati nella mia mente per cui talvolta la memoria mi manca, non tanto nella rappresentazione degli eventi, quanto nella successione temporale degli stessi.

Solo recentemente leggendo vecchi giornali ho potuto ricostruire la successione degli eventi.

Ricordo che nelle Facoltà occupate si discuteva in assemblee permanenti e che le roccaforti del movimento erano le Facoltà di lettere, scienze e fisica.

La facoltà di legge era occupata dagli studenti di destra. Ma non c’erano scontri fra le due fazioni, che anzi già si parlava da alcuni di colloqui e di un’azione comune su certi temi, perché quando si parla di problemi concreti si può raggiungere un accordo, dimenticando le diverse ideologie di appartenenza.

Anche le destre si mostravano sensibili ai problemi del terzo mondo ed a quelli concernenti il diritto allo studio concesso a tutti ed anzi alcuni giornali, esagerando al solito, già parlavano di “ nazimaoisti”. È certo che alcuni leader degli studenti di destra di quel periodo subirono un pessimo trattamento.

Poi una mattina entrò nell’università la banda di Caradonna: una cinquantina o poco più di facinorosi, armati di bastoni e con la bandiera tricolore in testa, assaltarono la facoltà di lettere col proposito di liberarla dai “teppisti marxisti – leninisti”. Furono respinti.

Si rifugiarono nella facoltà di legge dalla quale cacciarono con la violenza gli stessi studenti di destra che pure dicevano di voler proteggere. Si barricarono all’interno e dalle finestre cominciarono a bersagliare con ogni sorta di oggetti, usando anche fionde, gli studenti che affollavano i piazzali sottostanti. Ci fu un tentativo di reazione da parte degli studenti di lettere che assediarono la facoltà occupata. Tentarono di sfondare le porte, chiuse e barricate dall’interno, ma non ci riuscirono. Furono respinti con numerosi feriti, fra i quali Scalzone che riportò la frattura di una vertebra cervicale.

Dopo parecchio tempo arrivò la polizia che caricò e disperse gli “assedianti”, ovvero tutti gli studenti che a quell’ora si trovavano nel piazzale fra le due facoltà, liberò Caradonna ed i suoi che furono fatti uscire dalla facoltà di legge e poi tranquillamente rilasciati come se niente fosse.

A me a tutt’oggi non risulta che per questa azione sia mai stato celebrato un processo e che qualcuno della banda Caradonna sia mai finito in carcere. Il giorno dopo i giornali parlarono di battaglia fra teppisti comunisti e fascisti all’interno dell’Università. Dopo questo fatto la polizia rimase per lungo tempo nell’Università di Roma. Pochi si resero conto del significato “storico” dell’evento che segnò la fine della “extraterritorialità” fino ad allora riconosciuta alle università italiane (e non solo italiane). Questo fu l’inizio di quel lungo processo di estremizzazione e criminalizzazione del movimento studentesco che portò alla sua distruzione.

Piazza Cavour.

Purtroppo non ricordo in che data avvenne  questo brutto episodio.

Una domenica mattina fu organizzata una manifestazione davanti al Palazzo di Giustizia per chiedere la liberazione di alcuni studenti del movimento arrestati. La manifestazione era assolutamente pacifica, nessuno aveva intenzioni violente.

Non si andava ancora in quei tempi alle manifestazioni con le Molotov e i bastoni.

Parlarono alcuni studenti, non ricordo cosa dissero, ma nessuno incitò alla violenza. Tutto si svolse nel massimo ordine fin quasi alla fine.

Ma mentre gli oratori parlavano la polizia aveva circondato in forze tutta la piazza. Questa volta avevano fatto le cose in grande. Quando l’ultimo studente parlò e ci si apprestava a lasciare la piazza, ci fu lo scoppio improvviso di un petardo. Fu l’inizio, fummo violentemente caricati da ogni lato. Un fuggi fuggi generale.

Ricordo che scappai con altri dentro un palazzo: fummo inseguiti fin sulle scale, fin dentro gli uffici e le abitazioni.

Mi rifugiai con altri in un ufficio, ma lì non ci volevano, ci dissero di uscire. Sentivamo i poliziotti correre per le scale: “Questa volta mi prendono, pensai, poi cosa gli racconto a mio padre?”

Per fortuna dietro ai poliziotti c’era un sottufficiale di buon cuore, il quale li calmò e ci permise di uscire. “Su, per questa volta lasciateli andare”, diceva ai suoi, ed a noi: “Ragazzi per questa volta vi è andata bene, uscite pian piano e tornate a casa”.

Quando uscii dal palazzo per fortuna gli scontri erano terminati, cautamente percorrendo via Cicerone , raggiunsi la mia macchina parcheggiata in via Cola di Rienzo e potei andare a casa sano e salvo.

Questa manifestazione fu per me la prova che gli incidenti erano voluti, cercati con ogni mezzo perché poi i giornali conservatori potessero gridare contro i “teppisti comunisti che mettevano a ferro e fuoco la città”.

Quale fu la conseguenza di questi fatti all’interno del movimento?

Che gli studenti moderati, quelli che cercavano la discussione e chiedevano le riforme rimanendo nel piano della legalità, si allontanarono e gli estremisti presero progressivamente il sopravvento, confortati dall’atteggiamento delle autorità.

“Ecco, essi dicevano, noi cerchiamo il dialogo e le riforme, quelli ci rispondono con la polizia ed il carcere. Questo sistema non si può riformare, si deve distruggere”. Viva la rivoluzione! E l’opinione pubblica e gli operai che all’inizio avevano guardato con simpatia al movimento, mutarono atteggiamento: “distruggono, incendiano, non sono studenti, sono teppisti”.

Le mamme ed i papà che avevano i figli studenti, dicevano ad essi: “guardati dal partecipare alle manifestazioni, alle assemblee, quelli sono violenti, quelli ti rovinano”.

     Povero pellegrin salito al monte

mi veggio lasso a scender a la valle,

dove  subito è scuro ogni suo calle.

O erta vana, dilettosa e falsa,

quanto se’ vaga a l’ignorante ingegno!

Guai a chi passa e non riguarda il segno!

Passato sono, e sto e vo e corro:

stella mi doni lume a cui ricorro

   Franco Sacchetti

Alcuni giornali di Roma portarono avanti una sistematica azione di calunnia nei confronti del movimento studentesco “Le facoltà occupate sono diventate bordelli, altro che assemblee, fanno le orge là dentro”.

Queste cose le scrissero e molti ci credettero.

Io andai a dormire qualche notte nella facoltà di lettere occupata, non privo di qualche speranza:  “I giornali certamente esagerano, ma che ci sarebbe di strano se fra giovani impegnati in una lotta comune nasca qualche amoretto? E’ così malinconica la facoltà di ingegneria priva di ragazze e priva di poesia!” La storia delle orge non era vera e forse nelle facoltà occupate  nacque qualche amore, però è mancato il poeta. Qualche tempo dopo  in una sezione del P.C.I. che frequentai per qualche tempo dovetti subire un corso di educazione sessuale a finestre chiuse : “Meglio chiuderle le finestre, non si sa mai, qualcuno da fuori può sbirciare”. Il corso era noioso e non poetico.

Qualche tempo dopo un libro sugli amori di due studenti del movimento scritto in coppia ebbe un certo successo di pubblico. A me non piacque per niente, a partire dal titolo: “ Porci con le ali”. Credo ci abbiano fatto anche un film.

Testimonianze dal romanzo inedito di Angelo Ruggeri “Il Movimento del Sessantotto Romano”


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