Ridateci i cerchi nel grano, per favore!
Creato il 18 gennaio 2011 da Ilgrandemarziano
L'ultima parte della puntata di Voyager di ieri sera è stata istruttiva come poche altre. Prima di vederla, infatti, non avevo ancora ben chiara in testa l'idea del punto che si può osare raggiungere nel prendere per i fondelli i telespettatori e non solo non pagare dazio, ma avere anche successo (e un congruo stipendio). E questo non è certo un complimento nei confronti dei telespettatori. In fondo il furbacchione è lui, Roberto Giacobbo, che da anni e anni a questa parte sguazza nel millantare misteri dove pur qualche legittimo interrogativo esiste, ma soprattutto a inventarne di nuovi, del tutto inesistenti, con servizi imbarazzanti, per farcire di fuffa il palinsesto di una trasmissione che può essere apprezzata sul serio solo da encefalogrammi piatti.
Il servizio di chiusura della serata di ieri è dedicato a Stephen King, lo scrittore, proprio lui, e la prima cosa che viene da chiedersi è: che cosa diavolo c'entra King con Voyager?! È stato recentemente rapito dagli alieni? I suoi libri sono dettati in scrittura automatica da spiriti di trapassati? O è lui stesso un extraterrestre? No, è assai più probabile che sia solo un discendente dei templari. O che il suo potere - vai a vedere - sia dovuto al fatto che in realtà è il custode del Graal o dell'Arca dell'Alleanza o di entrambi. E per questo lui è immortale, onnisciente e dotato di poteri che neanche ci sogniamo.
Invece no, niente di tutto questo. Cioè, magari... Giacobbo parte mostrando la residenza vittoriana di King a Bangor nel Maine, una villa tutto sommato sobria per uno del conto in banca di King. La telecamera indugia sul cancello di ferro battuto ornato con demoni e pipistrelli e le iniziali S e K e, strisciando di fronte alla villa, il presentatore comincia a domandarsi qual è il segreto di un uomo di successo come King, che ha raggiunto la popolarità planetaria grazie a storie dell'orrore, insinuando che ci sia qualche elemento misterioso nella capacità creativa di King. Forse esoterico o soprannaturale? Del resto siamo su Voyager, no? Magari un bel patto col diavolo, vergato col sangue in una notte di luna piena! Giacobbo, serpentello, non lo dice mica, certo, ma quel sibilo con cui pronuncia le "s" qualcosa deve pur significare. «Perché King», spiraleggia, «nonostante tutti i soldi che ha fatto, e che potrebbero consentirgli di vivere ovunque nel mondo, è rimasto a Bangor, una cittadina così dimessa del Maine?» allude Giacobbo lucidando la mela. Come se Bangor avesse il potere di trasmettere allo scrittore qualche tipo di potere o energia nascosta, come se It fosse ben più di qualcosa di immaginario.
Quindi il servizio prosegue alternando immagini di questa graziosissima cittadina della provincia americana, con i suoi parchi, le sue cisterne, le sue lapidi e i suoi cittadini (tutti sovrappeso), con le interviste di un paio di individui del luogo: un libraio, che ci rivela - bontà sua! - che King è un grande e le sue storie sono fortemente legate a Bangor e a quei luoghi, e un altro scrittore locale, che afferma di aver riconosciuto almeno dieci posti di Bangor e dintorni (addirittura dieci? Su oltre trenta romanzi e racconti?! That's really cool!) riportati nei libri di King e che il Maine è un luogo impervio con lunghi inverni oscuri, freddi e inospitali, dove non è difficile immaginare di restare isolati o non soccorsi dopo un incidente. E questo, manco a dirlo, scatena l'immaginazione. Figuriamoci la nebbia in val padana.
Infine Giacobbo arrotola il suo corpo sinuoso intorno a due aneddoti come frutto di rivelazioni esclusive, suggerendo che da queste esperienze - ohibò - King possa essere stato influenzato nella sua professione. La prima è legata all'infanzia dello scrittore che "viene colpita, oltre che dalla scomparsa del padre, dalla morte di un suo amico. All'età di quattro anni, i due sono impegnati a giocare vicino ad una ferrovia, quando l'amico del futuro scrittore cade sulle rotaie e viene travolto da un treno. King, in stato confusionale, torna a casa senza ricordare quanto successo." (fonte: Wikipedia.it) La seconda è quella dell'incidente (di dominio pubblico) che King subì il 19 giugno 1999 quando venne investito da un minivan che lo lasciò in fin di vita sul selciato. Per fortuna lo scrittore si riprese, ma nella trasmissione viene detto che merito della guarigione sarebbe in gran parte dell'immaginazione di King che lo avrebbe aiutato a superare il dolore. Niente male questa, no? Senza contare la singolare coincidenza che secondo Giacobbo l'investitore, Bryan Smith, sarebbe morto entro poche settimane dall'incidente, guarda caso proprio il giorno del compleanno di King. Anche qui, la lingua biforcuta non aggiunge niente se non sibili e sinistri fruscii. Le sue insinuazioni stanno nelle omissioni, nei toni melliflui, negli sguardi ammiccanti, nei toni cupi della musica. In realtà Smith è morto sì, il 21 settembre, ma dell'anno successivo. Nel mondo esistono anche queste cose qui. Hanno coniato un termine apposta: coincidenze.
Ora c'è bisogno di dire che è ovvio che ogni esperienza fa lo scrittore? C'è bisogno di dire che è ovvio che un luogo e le sue suggestioni fanno lo scrittore? C'è bisogno di dire che è ovvio che uno scrittore metterà in qualche modo dentro le sue storie il suo vissuto, i suoi luoghi, i suoi personaggi, in generale le sue conoscenze ed esperienze filtrate ed elaborate dalla sua immaginazione e dalla sua sensibilità? Che cosa c'è di strano in tutto questo? Nulla. Qual è il segreto? Nessuno. Che cosa rende tutto questo in tema con una trasmissione di misteri? Niente, se non Giacobbo stesso e il fatto che l'unico vero voyager qui è proprio lui che, in compagnia di almeno un operatore, si è fatto una bella vacanza nel Maine a spese dei contribuenti solo per inanellare una serie di idiozie vuote e pretestuose, come un jackpot di disonestà intellettuali, che suonano come una truffa giornalistica e un vero e proprio insulto all'intelligenza dello spettatore medio. Bè, su quest'ultima però non ci giurerei.
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