Zinetti, Garzya, Carboni, Piacentini, Aldair, Comi, Haessler, Bonacina, Voeller, Giannini, Rizzitelli. Questa è la formazione della prima Roma che ho visto allo stadio. Era il 1992, avevo otto anni. Il biglietto di Tribuna Tevere laterale, comprato al botteghino dello stadio (incredibile a dirsi nell’epoca della tessera del tifoso) ce l’ho ancora. Quel giorno di marzo riuscimmo a fermare sull’1-1 il Milan di Capello e dei campionissimi, che avrebbe in seguito vinto il campionato da imbattuto. Ricordo ancora il rumore assordante dei clacson sparati a palla dopo la partita, nella galleria che dalla Farnesina porta alla tangenziale. Praticamente stavamo festeggiando una vittoria. Quella squadra era fatta da tanti scarponi e qualche buon giocatore. Finì il campionato addirittura al quinto posto, in Coppa Uefa. Un trionfo. Ecco, io quella squadra lì l’amavo. Non me ne fregava nulla se Garzya lisciava quaranta palloni a partita, se Bonacina era l’unico centrocampista al mondo incapace di fare un passaggio a due metri e se Rizzitelli non segnava manco se la porta je la facevano grossa il triplo. Sapevo che tutti avrebbero dato tutto ciò che era nelle loro (scarse) possibilità. E tanto mi bastava perché, come mi dicevano i vecchi, “se voi vince, devi annà a tifà quarche squadra co’ la maja a righe”. Questa è la Roma che ho conosciuto da bambino. Una Roma imparagonabile a quella che oggi, fatta da grandi (forse presunti) campioni, colleziona figuracce a destra e a manca. Attenzione, non voglio buttar giù il classico sfogo da tifoso ferito a poche ore dalla sconfitta, che se la prende coi mercenari che guadagnano milioni e se ne sbattono della maglia. A me la retorica della maglia storica da onorare, visto il calcio di oggi, fa ridere. E’ che mi manca terribilmente quella magia che ha caratterizzato da sempre la Roma e la sua gente. E’ un qualcosa che non si può spiegare a parole, è un’atmosfera, una sensazione di appartenenza sempre, comunque e dovunque che oggi non sento più. Ci sono ragioni del cuore che la ragione non può comprendere, disse una volta Pascal. E’ per questo che all’una di un nefasto sabato notte calcistico sto guardando un biglietto di Tribuna Tevere laterale di una partita pareggiata 1-1, un giorno di marzo di diciannove anni fa.
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