Rielaborazione de “il corvo” di edgar allan poe.

Da Antonio Ragone @AntonioRagone
Breve esistenza infelice, quella di Edgar Allan Poe, letterato statunitense nato a Boston nel 1809 e morto a Baltimora nel 1847, due giorni dopo che venne trovato agonizzante davanti ad una taverna,  per un attacco di delirium tremens, causato da eccessi alcolici. La sua produzione letteraria analizza la sua convinzione che non esiste la vita sola in sé stessa, bensì esiste, in un tutt’uno, il binomio vita-morte. In questo contesto riesce a carpire presenze e situazioni sinistre, sgomento e angoscia, diffusa tenebra attraversata con allucinata impassibilità. Famosi i suoi Racconti del terrore e le sue Poesie, dove l’incoscienza dell’ignoto si fa metafora del mistero attraverso la simbologia di sudari ondeggianti e bizzarre apparizioni che possono essere i fantasmi che tormentano l’essenza umana. Il poema Il Corvo saccheggia il cuore e l’anima di Poe in un geometrico progetto dove convive la tenebra con l’angoscia. 
Anni fa ho voluto cimentarmi nella traduzione, o meglio, rielaborazione di questo poema. Non ho l’ho rielaborato per intero, anche per questioni tecniche, come la lunghezza, ma perché ho ritenuto fermarmi laddove m’è parso aver raggiunto il mio scopo, avvicinarmi al mare, e così tralasciare la parte finale del testo, aggiungendovi una mia personale strofa.
IL CORVO
Mezzanotte cupa, io, debole e stanco, mentre medito
su voluminosi libri d'una remota conoscenza,
sopraggiunge il sonno reclinando il capo,
allora, improvviso e leggero,
un lieve tocco alla mia porta sento.
«Qualcuno forse c'è» dissi fra me «che alla mia porta bussa.
Questo soltanto o nulla più?»
Ah, chiaro è  il ricordo di quel Dicembre grigio;
e dal morente tizzo percepivo al suolo i suoi fantasmi.
Desideravo l'impaziente giorno, ai miei libri invano imploravo
conforto per il tormento della Leonore perduta,
per la fanciulla rara e raggiante che gli angeli chiamano Leonore,
che, ormai, per sempre, qui, nessuno chiamerà.
E  m'inorridiva il serico, triste, incerto mormorio delle sanguigne tende,
carico coi fantastici terrori miei dapprima sconosciuti,
benché al mio cuore inquieto ripetessi:
«Qualcuno, forse, implora ingresso alla mia porta,
qualcuno, in ritardo, forse, implora ingresso alla mia porta,
questo è; e nulla più».
Il coraggio cercai più forte; e non più esitai,
«Signore»dissi, «o Signora,  il vostro perdono veramente imploro;
ma il vostro tocco è così lieve e così inquieto è il sonno,
così leggera mano alla mia porta,
che ho dubitato d’aver davvero udito» - qui spalancai la porta:
C'era l'oscurità e nulla più.
Profondo in quella oscurità a lungo le tenebre fissai, attonito, timoroso,
dubitando, sognando sogni che nessun mortale ha mai osato prima.
Ma restò inviolato il silenzio, il tormentato silenzio.
E allora fu solo la mia voce, trepida, a bisbigliare «Leonore!»
e l'inquietante eco mormorò «Leonore !»
Soltanto questo e nulla più.
Ritornai alla mia camera con l'anima straziante.
Ma presto, ancora, udii bussar più forte alla mia porta.
«Certamente» dissi, «Certamente, qualcosa c'è alla mia finestra;
voglio il buio vedere e il mistero esplorare,
il turbato mio cuore calmare, e il mistero esplorare.
Ma c’è solo il vento e nulla più».
Or d'improvviso spalancai l'imposte, quando, le ali agitando,
entrò solenne un Corvo imperiale dei santi e remoti giorni,
che non l'inchino fece, o solo un attimo si fermò;
ma, con l'aspetto di cavaliere o dama, si depose sulla mia porta,
su un busto di Pallade sulla mia porta si depose,
là si sedette, e nulla più.
Allora quest'uccello d'ebano, per l'austera espressione decorosa e grave,
al sorriso ingannò la mia tristezza,
«Tu,  sebbene glabra sia la tua cresta»
dissi, «un codardo certo non sei,
orribile, arcigno ed antico Corvo, che vagabondi sulle Notturne spiagge,
aprimi al mistero del tuo nome che porti sulle spiagge
delle plutonie Notti!».
Disse l'imperiale Corvo: «Mai più».
O meraviglia per questo uccello sgraziato dissertare così chiaramente,
sebbene la sua risposta fu di così poca consistenza;
Nessun essere umano certo ha mai visto
un uccello sopra la sua porta
uccello o bestia sul  busto scolpito sopra la sua porta
con un così strano nome: Mai più.
Ma il Corvo, seduto solitario sul placido busto, ha solo detto
quella parola, come se la sua anima fosse solo quella parola.
Null'altro proferì, non agitò le ali.
Fintanto che non bisbigliai: «Altri amici son già volati via, già tanti,
e appena giorno egli mi lascerà, le mie Speranze, anch'esse,
voleranno via».
Allora l'uccello disse: «Mai più».
Quale orrore per me fu quella risposta calma nell’angosciante silenzio,
«Indubbiamente» mi dissi «quel che dice non è che unica sua scorta
carpita a un infelice padrone sull’orlo d’un impietoso Disastro,
inseguito veloce, e più veloce, fin quando melodiosi
non furono i suoi canti,
una melodia funebre i canti malinconici della sua Speranza:
«Mai, mai più».
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Ma il Corvo, seduto solitario sul placido busto, ha solo detto
quella parola, come se la sua anima fosse solo quella parola.
Desideravo l'impaziente giorno, ai miei libri invano imploravo
conforto per il tormento della Leonore perduta,
per la fanciulla rara e raggiante che gli angeli chiamano Leonore,
che, ormai, per sempre, qui, nessuno chiamerà.
(Di certo il Corvo, burrascosi
oceani ha attraversato,
chiuso in violenti turbini,
per raggiungermi al lontano castello
sopra salmastre rocce).
Rielaborazione di Antonio Ragone(da Edgar Allan Poe: “The raven and other poems”)
(da “L’isola nascosta” Edizioni Akkuaria  - 2007)

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