RIFF, decima edizione. “Diciottanni. Il mondo ai miei piedi”: l’acerbo ma promettente sguardo di Elisabetta Rocchetti

Creato il 22 marzo 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Elisabetta Rocchetti e i suoi tre lavori dietro la macchina da presa (2 cortometraggi, L’ultima seduta, 2006, e Mi vuoi così?, 2009, e un’opera prima: Diciottanni. Il mondo ai miei piedi , in concorso al Riff 2011) potrebbero essere additati come un ottimo esempio di un discorso su una ‘semplicità’ di resa di tematiche affrontate, che riesce a fare centro come soggetto filmico.

I temi su cui la Rocchetti (premiata con il Globo D’oro come Migliore Attrice esordiente nel 2003, con L’Imbalsamatore di Matteo Garrone), ora sempre più incanalata nella via della regia, si è cimentata, dimostrano questa capacità, ossia un’attenzione su aspetti (non banali nei modi in cui vengono colti) della vita, evidenziati con una scrittura resa (come il masochismo femminile ne L’ultima seduta, o la ricerca della donna ideale in Mi vuoi così?) senza sovrastrutture pseudointellettuali o visive, ma che riesce, tuttavia, ad arrivare dritto al senso di ciò che vuole raccontare. Capacità e film del genere mettono decisamente in crisi la mia idea di cinema: esemplificativo il ragionamento al riguardo di Woody Allen in Pallottole su Brodway (1994), dove Ciccio, sicario e guardia del corpo del boss, con i suoi suggerimenti, salva la storia scritta da un giovane commediografo. Quest’ultimo mollerà la carriera, avendo appreso (dai suggerimenti del semplice Ciccio) di non avere il talento giusto per scrivere.

L’opera prima di Elisabetta Rocchetti: Diciottanni. Il mondo ai miei piedi è imperfetta, come molte opere prime  a low budget. Tecnicamente, innanzitutto, (l’interno della casa di Ludovico, il giovane protagonista del film, è lo stesso utilizzato nel precedente corto Mi vuoi così?). Si respira artigianalità già a partire dalla fotografia, e pure il tasso recitativo di alcuni attori non è dei migliori. Come la stessa regista ha sottolineato, il film è stato più che mai frutto di un lavoro collettivo (prevalentemente a titolo gratuito) di coloro che a vario titolo vi hanno partecipato. Ma, ancora una volta, la Rocchetti centra il soggetto, il tema di ciò che decide di raccontare.

Nella sua opera prima si concentra su solitudini e inquietudini generazionali, sotto la lente di ingrandimento di un 18enne, Ludovico, che colma il suo vuoto, la sua noia e la mancanza di centro della sua vita, frequentando donne più vecchie anche di 30 anni. Le stesse donne che, a loro volta, in maniera diversa, cercano di spezzare la propria solitudine e/o insoddisfazione, appigliandosi a ciò che pare l’unica risorsa per evadere da una realtà nella quale sono ingabbiate, senza via d’uscita. Anche la tipologia dei personaggi è azzeccata: oltre a Ludovico (lo ‘scamarcese’ Marco Rulli), bello e istintivo, orso e inquieto ragazzo senza genitori e con un patrimonio gestito da uno zio (naturalmente dissipatore) con cui vive, ben abbozzate appaiono le donne che frequenta: dalla sua professoressa di Lettere, alla madre del suo migliore amico, a Giulia, completamente succube dell’idea del maschio come unico modo per emanciparsi e dare senso alla sua vita, per finire con la coetanea (Nina Torresi) compagna di scuola, ‘depravatamente’ egoista.

Differentemente dai corti nei quali la Rocchetti  si è cimentata, la struttura narrativa del lungo, specie sotto il profilo della sceneggiatura, nasconde però parecchie crepe: manca l’approfondimento vero dei personaggi (che la lunghezza di un film impone), assente pure in una loro dimensione stilizzata-simbolica (casomai l’intento della regista fosse stato quello), così come l’aura che sta dietro e dentro il film: solitudine e cattiveria femminile (elementi su cui aveva posto l’accento la Rocchetti, introducendo la proiezione), vuoto esistenziale giovanile. Donne realmente cattive ed egoiste non se ne vedono (a parte l’adolescente amica di scuola), parimenti assente (presente solo di riflesso) uno sguardo più incisivo sulla passività femminile. Anche l’‘inquietudine e la redenzione’ di Ludovico sono stati trattati senza affondo, con giustapposizioni di trama, per cercare di legare i singoli spaccati di situazioni, dando così una linearità alla storia.

Resta indubbia l’originalità della prospettiva di sguardo e attenzione della giovane regista, a cui auguriamo di poter avere i mezzi e le risorse necessarie per poter lavorare con maggiore maturità visiva e narrativa alla propria idea di cinema: semplice ma non banale.

Maria Cera


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