Rifiuti radioattivi: il deposito nazionale all’orizzonte

Creato il 23 febbraio 2015 da Valtercirillo

Sembrerebbe dunque che la questione dell'energia nucleare sia entrata nel suo capitolo finale in Italia, con l'avviato iter per la realizzazione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. Un passo indispensabile per chiudere con il nucleare del passato e per gestire correttamente le attività nucleari presenti e future.
L'industria nucleare, infatti, non si limita alla produzione di energia, che in Italia è un capitolo chiuso tranne che per il necessario smantellamento delle vecchie centrali elettronucleari e degli altri impianti connessi, ma riguarda anche numerose attività di ricerca, mediche e industriali.

Non è detto che questo passo finale scorra liscio, per quanto la Sogin (la società pubblica responsabile del decommissioning e della realizzazione del deposito) abbia competenze di qualità riconosciute a livello internazionale, sia l'unica in Italia ad averle, abbia già provveduto alla selezione dei possibili siti (ora al vaglio dell' ISPRA, la nostra agenzia nazionale per l'ambiente) e abbia già iniziato un minimo di attività di comunicazione per coinvolgere le popolazioni nella scelta.

Un bruttissimo segnale è venuto nei giorni scorsi da indiscrezioni di stampa, secondo le quali il governo starebbe addirittura pensando di commissariare la Sogin. "Addirittura" perché davvero non se ne capirebbe il motivo, visto che il vertice della società è stato nominato a fine 2013 proprio per sanare ritardi e irregolarità del passato, non risulta né indagato né raggiunto da alcun avviso di garanzia e ha finora preso tutte le decisioni all'unanimità. Sicché, appunto, sarebbe stupefacente un segnale politico così negativo da parte del governo Renzi, in un settore così sensibile per l'opinione pubblica, proprio nel momento in cui si cominciano a intravedere attività operative, con relativi appalti e opportunità politiche.
Quando la politica entra in ballo proprio a questo punto è difficile non pensare male, soprattutto se in ballo ci sono investimenti per quasi 2,5 miliardi di euro (1,5 per il deposito vero e proprio e il rimanente per un apposito Parco di ricerca tecnologica). Doppiamente, quindi, sarebbe il caso che il governo Renzi desse un segnale forte di trasparenza e di efficienza, anche risolvendo la connessa questione dell'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN), cioè l'organo indipendente di controllo sulla sicurezza nucleare, che in Italia ancora manca, dopo la chiusura nel 2011 dell'ASN (Agenzia per la sicurezza nucleare): le attività di controllo vengono intanto svolte - peraltro egregiamente - dall'ISPRA.

In ogni caso la vicenda del deposito nazionale non può subire ulteriori ritardi: per esigenze pratiche e perché ci sono impegni internazionali da rispettare, relativi sia al programma nazionale di gestione dei rifiuti radioattivi (che la Ue impone di completare entro il 2015), sia agli accordi con la Francia, dove si trovano alcune centinaia di tonnellate di nostri rifiuti ad alta intensità (il combustibile irraggiato delle vecchie centrali, inviato in Francia per essere riprocessato) che tra il 2020 e il 2025 devono necessariamente rientrare in Italia.

La questione dei rifiuti radioattivi

Il nucleare, si sa, produce rifiuti radioattivi che devono essere confinati in sicurezza, con modalità differenti a seconda dell'attività - cioè della quantità e qualità - della radiazione emessa.
In qualche modo la radioattività è come l'acqua: è indispensabile alla vita, ma se se ne beve troppa può uccidere. Dunque il problema non è tenere lontano dalla biosfera la radioattività (anche nel caso di quella a maggiore attività, per il banale motivo che l'intera Terra è una palla radioattiva), ma solo di fare in modo che i rifiuti radioattivi non interferiscano con gli organismi biologici.
È appunto per questo motivo che si costruiscono appositi depositi nazionali: per evitare che i rifiuti nucleari siano conservati nell'ambiente, vicino alle popolazioni, anche se è esattamente questo che si fa da sempre, sia in Italia che altrove.

Attualmente nel mondo ancora non esistono depositi geologici definitivi, quelli cioè necessari per i rifiuti più pericolosi e di lunga durata (migliaia di anni), con la sola eccezione di un impianto pilota americano riservato all'industria militare (il WIPP, situato presso Carlsbad, New Mexico). I Paesi più avanzati che producono energia elettronucleare hanno in programma di realizzare un deposito definitivo, situato in profondità nel sottosuolo. Ma con calma: entro un paio di decenni. Per ora ci sono solo progetti, nemmeno troppo avanzati a parte i casi della Svezia e della Finlandia.

Per quale motivo non è ancora stato costruito un solo deposito definitivo al mondo, visto che sono ormai 60 anni che si utilizza l'energia nucleare? Per quanto possa sembrare strano, la risposta è banale: perché non ce n'era bisogno.
Le scorie nucleari ad alta e altissima attività sono infatti pericolose, ma anche di quantità relativamente modesta (poco più di 10.000 m 3/anno proveniente da circa 500 siti sparsi in tutto il mondo), sicché finora li si è potuti conservare in sicurezza presso i siti di produzione. Inoltre nessuno muore dalla voglia di spendere centinaia di milioni per un sito definitivo. Per ragioni economiche innanzi tutto, ma poi - sotto sotto - anche perché esiste ancora il dubbio se seppellire per sempre questi rifiuti sia la scelta più ragionevole. Alla fin fine la radioattività è un fenomeno naturale e molti sono pronti a scommettere che prima o poi (più prima che poi) verrà trovato il modo per controllarla o, meglio ancora, per sfruttarla. Già oggi non mancano né innovative proposte tecnologiche, né sponsor del calibro di Bill Gates.

Tuttavia la grande maggioranza dei rifiuti nucleari è costituita da scorie di bassa e media attività, di cui nel mondo si producono circa 200.000 m 3/anno. Qui il discorso cambia: per questa tipologia di rifiuti radioattivi l'esigenza di un deposito centralizzato permanente è reale. E infatti ce ne sono quasi un centinaio in giro per il mondo e i Paesi che non hanno ancora provveduto a realizzarli si stanno accingendo a farlo.

Anche in questo caso, però, il problema dell'urgenza non è nella quantità: 200 mila metri cubi di rifiuti radioattivi a livello globale sono poca cosa. Si pensi, per fare un confronto, che nel mondo si producono ogni anno circa 400 milioni di tonnellate di rifiuti industriali "pericolosi". Rifiuti, cioè, contenenti elementi chimici tossici per l'uomo e per l'ambiente che, al contrario della radioattività, non decadono con il tempo, ma restano pericolosi per sempre. La soluzione per loro è lo smaltimento in discariche controllate, opportunamente studiate per evitare che possano rientrare nell'ambiente umano.

L'urgenza di un deposito nazionale

Per i rifiuti nucleari di bassa e media attività il problema è nel fatto che provengono non solo da centrali elettronucleari, ma anche da istituti di ricerca, centri medici e industrie. Il che pone questioni di sicurezza e corretta gestione dei rifiuti per migliaia di centri di attività e per centinaia di depositi provvisori.

La pericolosità di questi rifiuti è reale e da non sottovalutare, anche se non è confrontabile con quella dei materiali ad alta attività. Infatti la loro radioattività decade ai livelli di quella del fondo naturale - cioè cessano di essere pericolosi - in un periodo di tempo che varia da alcuni mesi ad alcuni anni, fino a circa 300 anni per una quota minore.

In Italia di questi rifiuti a bassa e media attività vengono prodotti ogni anno più di 500 m 3, che vengono "condizionati" in vari modi per renderli più adatti ad essere trasportati e conservati in 23 depositi provvisori sparsi per il Paese (che diventano un centinaio considerati tutti i siti dove per qualche motivo si conservano rifiuti radioattivi).

Si capisce così l'urgenza di un deposito centralizzato e definitivo, cioè in grado di conservare in sicurezza tutti i rifiuti che vengono prodotti ogni anno, più quelli accumulati nel corso del tempo, più quelli che verranno prodotti man mano che procede il decommissioning. Nel complesso, secondo la Sogin, si tratta di circa 90.000 m3, di cui 75.000 a bassa e media attività da sistemare in modo definitivo, e circa 15.000 ad alta attività, da mettere in sicurezza in attesa che si decida in che modo smaltirli per sempre.

[ Valter Cirillo]

Leggi anche Decommissioning: il nucleare che piace all'Italia

Condividi...


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :