Rifiuti senza confini, traffici illeciti in aumento

Creato il 26 dicembre 2011 da Informasalus @informasalus
CATEGORIE: Denuncia sanitaria , Salute

Rifiuti

Rifiuti senza frontiere e senza legalità. Il traffico illecito di rifiuti è un’emergenza globale, coinvolge in complesse triangolazioni decine di paesi, con flussi diretti generalmente dall’Europa e dagli Stati Uniti alla Cina, ai paesi del Sud Est asiatico e all’Africa, con navi in partenza dai principali porti e container carichi di rifiuti. Dentro ci sono materie plastiche, pneumatici fuori uso, automobili rottamate, rifiuti elettrici ed elettronici, plastica, carta e cartone. Non solo navi di veleni e sostanze tossiche: nei container viaggiano rifiuti riciclabili, che vengono “esportati” in modo illegale per abbattere i costi dello smaltimento (ed è concorrenza sleale) e che privi di qualunque controllo e di qualunque trattamento, rappresentano al tempo stesso una fonte di pericolo per la salute umana e per l’ambiente.

Nel 2010 sono state sequestrate 11.400 tonnellate di rifiuti diretti prevalentemente in Cina, India e Africa, il 35% composto da materie plastiche e pneumatici fuori uso (i dati sono dell’Agenzia delle Dogane). I principali porti di spedizione italiani sono stati Genova, Venezia, Napoli, Gioia Tauro e Taranto. Ed è solo la punta dell’iceberg, poiché ogni anno nei porti italiani si movimentano circa 4.400.000 container, 750 mila dei quali diretti in Cina.

Sono stati sequestrati soprattutto rifiuti di carta e cartone (37%), materie plastiche (19%), gomma (16%) e metalli (14%). E dove vanno? Il 90% delle spedizioni di rifiuti di carta e cartone e di materie plastiche sequestrate era destinato in Cina, mentre il 70% delle spedizioni di gomma e pneumatici era destinato in Corea del Sud. I metalli erano destinati per il 48% in Cina e per il 31% in India, mentre le parti di veicoli erano destinate prevalentemente in Cina, Egitto e Marocco, con percentuali rispettivamente del 34%, del 15% e del 12%. Ma la tendenza è in aumento: basti pensare che l’attività repressiva si è triplicata rispetto al 2008, quando i sequestri erano fermi a 4 mila tonnellate.

A puntare i riflettori sul fenomeno è stata la Conferenza sul traffico illecito di rifiuti organizzata oggi a Roma dal Consorzio PolieCo, da Legambiente e dall’Istituto Interregionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia (Unicri). Che il problema abbia una dimensione sempre più ampia, è evidente anche dalle ultime operazioni di contrasto all’attività illegale. Il 6 dicembre scorso, nel porto di Taranto, l’operazione Golden Plastic ha portato al sequestro di beni di 21 aziende, per un valore di oltre 6 milioni di euro, contro una organizzazione transnazionale dedica al traffico globale di rifiuti plastici e di vecchi copertoni. Due giorni prima, a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) era stato portato alla luce un traffico illecito di rifiuti dalla Sicilia al Senegal, dove arrivavano vecchie auto rottamate e scarti meccanici di ogni tipo, pericolosi perché pieni di olio e grassi minerali. Solo ieri, a Napoli, l’operazione Partenope ha fatto sequestrare 14 tir che diretti verso il porto con materiali ferrosi destinati ai paesi asiatici, pari a un giro d’affari di 250 milioni di euro.

Le indagini e le attività investigative vanno avanti, forti anche dell’introduzione nel 2001 del delitto di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti (ex art. 53 bis del decreto Ronchi, ora art. 260 del D. Lgs. 152/2006), l’unico delitto ambientale esistente in Italia. Dal 2001, si contano 31 inchieste relative a traffici internazionali di rifiuti in partenza dall’Italia, che hanno condotto a 156 arresti e 509 denunce, con 124 aziende sottoposte a provvedimenti giudiziari, e con il coinvolgimento di 22 Paesi esteri, dall’Europa all’Asia all’Africa, dalla Germania alla Cina, dalla Russia al Ghana.

Attraverso un complesso gioco di triangolazioni fra vari paesi, e la falsificazione dei documenti di accompagnamento dei carichi (il giro-bolla) ci sono container carichi di rifiuti che passano di mano in mano, da un intermediario all’altro, di paese in paese, per far perdere le loro tracce. Non sono solo scarti tossici – evidenzia il rapporto di Legambiente e PolieCo – perché spesso viaggia materiale che può essere riutilizzato. Sono in gioco sia la salute umana, sia la tutela dell’ambiente, sia le regole dell’economia legale. Basti pensare che, secondo le stime della Guardia di Finanza, lo smaltimento legale di un container carico di 15 tonnellate di rifiuti pericolosi può costare 60 mila euro, che diventano circa 6 mila euro se l’operazione viene fatta in modo illegale. L’abbattimento dei costi è anche del 90%, la concorrenza è sleale.

In questo modo si sottraggono risorse all’economia del riciclo e alla green economy – che ha bisogno di materie prime da avviare al recupero – mentre il mancato trattamento dei rifiuti rappresenta un rischio per l’ambiente e per la salute umana. Basti pensare ai rifiuti plastici a base di polietilene che arrivano in aziende dove vengono tagliati e mischiati con altri materiali per farne poi merce contraffatta – giocattoli, abbigliamento, utensili di cucina. Oppure alle discariche di rifiuti elettrici ed elettronici che, in Cina come in Ghana, rappresentano vere “bombe” ecologiche e ambientali e mettono a rischio la salute di chi li maneggia a mani nude.

Qualcosa però si muove anche a livello internazionale, e le novità arrivano dalla Cina, con la quale i rapporti di collaborazione sono sempre più stretti e hanno condotto, proprio nell’agosto di quest’anno, a una normativa più stringente sull’importazione dei rifiuti, con una serie di divieti e prodotti esclusi dall’importazione e controlli più stringenti anche per le amministrazioni di Hong Kong e Macao.

E l’Italia? Intervenendo ai lavori, il ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha sottolineato che “l’ecomafia si sviluppa dove la capacità di governo è più scarsa e meno organizzata”. La necessità, per il ministro, è di “rendere più trasparenti e semplici le procedure di gestione del ciclo dei rifiuti”. Allo stesso tempo, c’è l’idea di andare oltre la logica dell’emergenza. “Cerchiamo di uscire dalla logica dell’emergenza – ha detto Clini – che spesso sono state un alibi per la continuazione dell’emergenza stessa”.



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