Cari amanti del rock’n'roll,
oggi vorrei parlarvi di un tema su cui il mio cuore e quel che resta del mio cervello si è a lungo dibattuto, sebbene mi renda benissimo conto che sull’argomento siano già stati versati fiumi di inchiostro, di pensieri, di parole, di menti anche molto più eminenti della mia, dunque sono solo una goccia tra le tante, come si suol dire.
Parliamo ovvamente dell’AMORE.
Come dice il mio amico Joshua (sempre sia lodato, I miss you) novanta volte su cento, le persone che ci interessano, con cui pensiamo (nei migliori casi abbiamo davvero) di avere un’affinità, sono o gay o già impegnate. Allora quando sono gay, ahimè, c’è poco da fare, quando invece sono impegnate qualche piccolo tentativo si può fare ancora, certo non è facile ma si può provare.
Altre volte poi succede che si incontra qualcuno con cui ci sentiamo subito vicini, con cui c’è una bella affinità, però lo si conosce nel momento più sbagliato della nostra o della sua vita. E allora subentra il malanimo, il dolore, l’infelicità. Il domandarsi come sarebbe stato, come sarebbe potuto essere se fosse successo in un altro momento, in un altra epoca, in un universo parallelo. E si pena parecchio, anche se la soluzione non si trova. Anche perché spesso, diciamoci la verità, fatti del genere ti fanno capire quanto tu o l’altro stiate sprecando la vostra esistenza dietro a situazioni, storie, gente completamente flippata, che fanno spantecare più che vivere in modo decoroso quest’esistenza già così complicata di per sè. E dire che uno la felicità la cerca, la rincorre, spesso non la trova mai, spesso non capisce neppure di avercela davanti. Passiamo il tempo a farci troppe domande, a fare quello che non vogliamo, a compiere sforzi che non giovano a nessuno, sprechiamo ore che potremmo destinare a ben altro, sebbene anche questo sia parte del gioco.
Allora che si fa in questi casi? Si domandano un po’ tutti, anche perché effettivamente non c’è una ricetta. Nel mio piccolo, credo che ci sia da operare una scelta: cercare di raggiungere questa presunta felicità, o almeno quel che noi crediamo possa essere felicità, battendoci e impegnandoci per perseguirla, oppure, magari per paura di soffrire, dell’ignoto, o di sbagliare ancora, la accantoniamo del tutto. Ma allora come si fa a capire se vale la pena lottare o meno? Quando avevo 14 anni mia sorella mi disse che “quando si è davvero convinti di una cosa, non si ha paura di combattere per essa. E le cose non vanno mai male, perché anche se non avremo ottenuto ciò che desideriamo, comunque il nostro spirito ne uscirà fortificato”.
E la chiave è lì, almeno per me. E pazienza se tutto va male, almeno non si avrà il rimpianto di non aver neppure provato. E dulcis in fundo, quando tutto manca, provate a riflettere: se qualcuno non ci vuole, allora davvero non ci merita (ed è peggio per lui).
E voi? Che ne pensate?