di Rina Brundu. Mi hanno colpito due cose di questo epocale atto criminale. La prima il fatto che il padre di Manuel Foffo si sia presentato negli studi di “Porta a Porta” subito nell’aftermath dell’orrendo delitto; la seconda che lo stesso Foffo si dica “determinato” a pagare per quello che ha fatto.
Premetto che sono la prima a considerare l’importanza della responsabilità individuale anche in età molto più giovani di quelle dei personaggi che hanno architettato il riprovevole delitto Varani, e sempre ho incluso tra le prime vittime di ogni crimine i familiari dell’assassino, o degli assassini, che loro malgrado sono sovente costretti a portare sulle spalle una croce che non avrebbero mai pensato di dover portare. Mai mi è dunque capitato di discutere le “responsabilità” morali di background: anche il diritto all’oblìo, alla dimenticanza è un diritto che dovrebbe essere tutelato. Nel Caso Varani però è indubbio che sia stato lo stesso padre di Foffo ad offrirsi in maniera così spettacolarizzante alle telecamere diventando di fatto personaggio pubblico e dunque legittimo oggetto di “critica”.
Di quell’intervento in “Esclusiva” da Vespa mi ha colpito la “freddezza” (in senso lato), di questo signore borghese, evidentemente di buona famiglia, evidentemente di ordinata educazione, evidentemente cosciente del suo ruolo anche in quel frangente difficilissimo per lui e il suo universo affettivo. Soprattutto mi ha colpito quella modalità complice con il presentatore quasi comse se stesse discutendo di faccende accadute ad altri, quasi come se, tra le righe, stesse dicendo: “Mio figlio ha fatto questo, io non c’entro: voglio che sappiate che io non c’entro, io non ho responsabilità”. In realtà, il signor Foffo ha detto il contrario, ovvero ha detto che sperava che cotanto orrore fosse stato procurato dalla droga perché altrimenti significava che lui aveva generato un mostro. Ecco, sì, questo lui lo diceva a parole ma il contesto diceva altro, gridava a gran voce: “Io non c’entro!”. Insomma, in quello studio televisivo di diceva per non dire, si ammetteva per raccontarsi, si rivendicava la paternità per negarla. Nella freddezza comportamentale di questo signore era un poco come un vedere riflesse le ragioni, le cause prime di questo orrendo misfatto.
Non credo che nessuno possa prevedere come si sarebbe comportato in simili circostanze: non ci conosciamo mai così profondamente. Per quanto mi riguarda penso che sarebbe stato un poco come la morte dell’anima che sul piano pratico avrebbe portato ad un mutismo totale, di sicuro mai sarei stata da Vespa, di sicuro mai avrei parlato a cani e a porci anche perché non credo ci sarebbe stato niente di quanto chiunque avrebbe potuto dire che avrebbe saputo “alleviare” il dolore procurato dalle circostanze, alla famiglia della vittima ma in questa perniciosissima occasione anche a tutti noi. Non a caso si tratta di un episodio così allucinante che un’espressione come la mia ultima non fa retorica.
Mi spingo fino a dire che si tratta di un fatto delittuoso che non connota, denota soltanto. Vale a dire che non servono saggi specialistici per spiegarlo, si spiega da sé. Si spiega così tanto che lo stesso Manuel Foffo avrebbe detto di sentirsi “determinato” a pagare per quello che ha fatto. Lodevole! Il problema – e credo che questo Foffo non lo abbia ancora capito, ma lo capirà più avanti – è che questa sua azione non è di quelle che pertengono soltanto ad una giustizia terrena ma entrano direttamente nel “realm” di una giustizia più universale. Di una giustizia di fondo che tutti sentiamo dirima le dinamiche del nostro vivere più vero. In virtù di questo penso potrebbero servire diverse vite a Foffo per “riparare” e non sarà un percorso facile. Ma, se in questo lunghissimo cammino, il padre fosse comunque al suo fianco invece che in tv a sgravarsi la coscienza (perché purtroppo questa è l’impressione che ha consegnato allo spettatore che guardava), forse si sarebbe già fatto un sostanziale passo avanti nel percorso di redenzione. Di entrambi?