Riflessioni in segni d’equilibrio

Da Met Sambiase @metsambiase

Mercoledì. Uno, due, tre, quattro e cinque buste della spesa, plastica grossa e borsine degradabili, più un fardello di minerale. Tutto giù dal bagagliaio al portoncino, poi da lì faticosamente alla porta dell’ascensore. Mi sorpassa la vicina del terzo piano, bambolina demodè dai capelli grigi oggi ha come sempre gonna e tacchi cinquanta. Mi gira attorno con cura e poi mi sospira maligna: “Abbiamo voluto la parità ed ora ce la teniamo”. E’ il suo mantra, me lo dice sempre, poi si ricorda che le rispondo male e mi saluta quasi correndo sulle scale. Le attendono tre rampe “belle pese”, come dicono in questa città. Peccato per lei. Sarei riuscita a fare spazio per tutte nell’ascensore. Mentre tento di mettere in tavola almeno un pasto completo per mio figlio adolescente che arriverà prima che ci riesca , faccio contorsione fra orecchio e spalla per tenere in equilibro il cellulare, che non è nemmeno il mio ma quello di mio marito . Il mio è in riparazione all’Euronics dopo un solo giorno di vita, ed è con il loro ufficio assistenza che cerco di parlare: tre settimane senza avere notizie mi sembrano un’esagerazione, ma non ci spunto un ragno dalla rete, hanno sempre ragione loro. Se avessi tempo ci andrei da vicino e chiederei del direttore. E gli direi che se io trattassi i clienti come loro stanno trattando me, mi licenzierebbero per giusta causa. Ma ho unità di tempo relativa, non ho l’ora di sessanta minuti come frazione ma venti minuti. Sono i venti minuti a guidare ogni attività. Ho venti minuti per prepare, venti minuti per mettere in ordine, venti minuti per ripassare questo e quello, venti minuti per mettere in moto la macchina nei giorni di gelata, venti minuti per trovare parcheggio e cambiarmi al lavoro, venti minuti e venti minuti e venti minuti , per fare un’ora che ne vale tre. Guardo la piramide di lavoro da fare e mi porto avanti nell’autoassolvermi:”Lo farò dopo mangiato”. Non riesco a leggere i gradi della manopola del forno. Cerco gli occhiali per il presbitismo, condizione dichiarata di non giovinezza e trovo quelli neri di mia zia. Li ho presi con me anche se non hanno la misurazione giusta. Li tengo in borsa da quando lei non c’è più, da ottobre, come tengo con me la forbicina delle unghie di mia nonna e il suo foulard con ghirigori marroni nell’armadio. Non mi spiego la ragione del perché questi piccoli oggetti devo stare con me e non mi possono abbondonare: si, sono loro che mi ricordano i morti che ho amato e che mi hanno amata, ma perché così comuni? Mi viene agli occhi la gatta di mia madre. Quando lei  ha avuto l’infarto quest’estate ho dovuto badare anche alla micia, che come carattere ha il dono dell’invisibilità. In sette anni ha passato più tempo a nascondersi che a farsi vedere. Luglio è stato duro, con due anziani in ospedale, un lavoro, un figlio, un marito, e pure una lettiera sporca. Passo la tavola ed è già l’una. E’ il primo giorno di ferie, me ne sono prese un po’ per riprendermi del tempo, ma è lui che mi tiene lontana, più di una lumaca in gara con un’antilope : hai voglia di pensare alla favoletta, le lumache sono lente e le schiacci facilmente, le antilopi sono snelle e belle e le puoi anche mettere in un screensaver. Chi metterebbe mai una lumaca in uno screensaver? Boh, magari qualcuno lo fa. E intanto è arrivato il pomeriggio del mio primo giorno di ferie e devo riuscire per il mare di commissioni arretrate che mi galleggiava contro nelle scorse settimane. A casa di mia madre è arrivata una bolletta con la data già scaduta, dove devo andare a pagarla? Che tempi duri, questi, per gli anziani. Giù tutti a imporre l’uso del banking on line e gli anziani a sottostare a nuovi  tagli delle consegne dei postini che poi le bollette dell’Iren arrivano il giorno stesso della scadenza. C’è spazio per ognuno a questo mondo, tranne per gli anziani e i postini, a quanto pare, e per le figlie che devono riattraversare la città per prendere quella bolletta da pagare immediatamente. Se lavorassi, oggi, avrei dovuto rivendicare un permesso? Si chiama conciliazione dei tempi: ti stai frantumando e forse ti concedono un po’ di colla. Si ritorna a casa. E’ mercoledì, chissà se giocano stasera o si può stare in pace a leggere quando tutti gli altri in casa andranno a dormire? Al piano di sopra e alla porta accanto, ci sono i tifosi dell’Inter e congiuntamente di quasi tutte le squadra meridionali presenti in serie A, tutto fa gol. Che quando ci sono lo debbono sapere tutti, fra urla come sirene d’allarme e sedie sbattute da un pavimento ad un soffitto. E che forse non sono fracassi da maleducati, sono rituali ancestrali della razza maschile che non conosco. E’ giovedì. Sono al secondo giorno di ferie e stamattina ho medicato il piede del bambino prima di portarlo a scuola e poi sono andata trenta chilometri lontano per tutta la mattinata per impegni lavorativi. Non ero in ferie? Si, ma anche le mie ferie hanno altre unità di spazio e di luogo, come le ore insomma. Tiro lunga, è pomeriggio, è sera e poi apro il computer. Abebooks, una nuova scoperta, segnalata da una mia amica super tecnologica. Sono tre giorni che faccio il tira e molla con un libro di poesia. E’ usato, è in inglese, lo tengono in America: che faccio? Si, lo prendo. Guardo l’ora mentre scrivo questa nota. E’ già passata mezzanotte ed è arrivato il mio cinquantesimo compleanno. Auguri a me, allora. E speriamo in tempi migliori.