Riflessioni sui tempi di vita

Creato il 29 aprile 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
di Luciano Cicu – Appassionato di cultura scientifica. Non si è ancora spenta l’eco della sorprendente notizia, di recente diffusa dalle televisioni, grazie alle onde elettromagnetiche unidimensionali che avvolgono il globo terracqueo.
Si annunciava, con tripudio, l’età di una tartaruga gigante che vive e vegeta nell’isola di Sant’Elena, di origine vulcanica, emersa laggiù, nell’oceano atlantico, in lontananza dalla costa meridionale dello stato africano dell’Angola.

Ebbene! Dopo un accurato esame del carapace , esperito da zoologici del capoluogo,Jamestown, il primario, pieno di meraviglia e concitato, esclamò: Questa tartaruga, della specie elefantina, similare a quelle delle isole Galàpagos, dell’Equador e delle Seichelles, nell’oceano indiano, ha la bellezza di 182 anni di vita e sta bene. Essa detiene il primato mondiale della longevità.

Di qui il tam-tam che ha fatto il giro del mondo ed è arrivato ad interessare anche il nostro apparato uditivo.

Col linguaggio dei numeri possiamo dire che la sua materia vivente è venuta alla luce nel lontano 1832 e, se fosse nata 11 o 12 anni prima, molto probabilmente, avrebbe sentito il trambusto della gente che si recava a vedere la salma di Napoleone 1° Bonaparte, spirato il 5 maggio 1821, all’età di 52 anni.

Dopo questo preambolo, prevale la riflessione sulla dicotomia temporale tra l’età di quella tartaruga e l’età dell’uomo moderno, del ventunesimo secolo.

Non celiamo il velo di disappunto che istintivamente nasce e scorre dai nostri pensieri..- ma che notizia strabiliante! da rimanere basiti! –

Da un lato una testuggine lunga un metro e del peso di 200 chilogrammi, che annovera sul carapace 182 primavere, che si ritira presto per andare a dormire, come fanno le galline, che al sopraggiungere del freddo si iberna, in attesa del tempo buono, più vivibile e dall’altro lato un animale vertebrato, bipede, ragionevole, del genere homo e della specie sapiens sapiens che si arrabatta nell’arco della sua esistenza per raggiungere l’ambito traguardo dei cent’anni di vita, che equivarrebbero a tre miliardi, centocinquantatremilioni e seicentomila secondi, o palpiti del nostro cuore.

Ora ci troviamo di fronte a due corni del dilemma. O la tartaruga gigante è dotata di una materia vivente superiore a quella dell’uomo o si tratta di un eccezionale episodio di longevità di quel rettile appartenente all’ordine dei cheloni.

Noi si propende per la seconda ipotesi. Perché l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio e per dominare anche su tutti i rettili che strisciano sulla terra; perché l’uomo ha ricevuto da Dio due immensi doni: la fede che proviene dal trascendente e la ragione che deve regnare nell’imminente, dopo aver distinto il bene dal male; perché l’uomo, con la ragione e la parola, ha fatto nascere il linguaggio per comunicare tra i famigliari, le genti e i popoli e con la comunicazione sono sorte le varie attività, tra cui la poesia, la musica, l’arte, la filosofia e anche la politica. Ma mai fu preminente né l’arte, né la filosofia. L’arte rimane nei suoi capolavori, l’arte del sapere può diffondere teorie che si infrangono in sogni fallaci.

Infine non sentiremo mai una tartaruga gigante gridare ai quattro venti “ Io sono l’essere vivente più longevo che esista sulla terra “

Beh! Se ci saltasse il ghiribizzo di leggere nella “Genesi” l’età dei patriarchi antidiluviani, difficilmente potremmo eludere un moto di incredulità.

Troppo grande è il divario tra la longevità dei patriarchi e quella dell’uomo moderno, pur essendo dello stesso genere e specie. Secondo l’antico testamento il primo patriarca fu Adamo

plasmato dalle mani di Dio con la polvere del suolo e diventato essere vivente con il soffio, nelle sue narici, di un alito di vita.

Lo stesso alito che si manifesta nel genere umano, al primo vagito, che comprova la nascita di una nuova vita.

Adamo ebbe tre figli, Caino, Abele e Set, con la donna chiamata Eva, che Dio gli mise accanto come dono per la procreazione. Egli provò la gioia di concepire il terzo figlio, Set, all’età di 130 anni e visse fino all’età di 930 anni. Mancavano all’appello 70 anni per raggiungere il millennio di vita vissuta. E tra i patriarchi ricordiamo Set che visse 912 anni, Enos, nipote di Adamo, che visse 905 anni. Matusalemme batté il record della longevità con 969 anni, il figlio Lamech generò Noé all’età di 182 anni e questo fu il costruttore dell’arca con la quale scampò al diluvio universale, assieme alla famiglia e alle coppie degli animali e degli uccelli che il signore Iddio gli aveva raccomandato. Egli generò, all’età di 500 anni, i suoi tre figli, Sem, Cam e Iafet e visse fino alla ragguardevole età di 950 anni.

Due prerogative balzano alla nostra mente:

La capacità fisica dei patriarchi, di poter generare figli in età super avanzata e la longevità della loro vita. Due prerogative che, sinceramente, sono inibite all’uomo moderno, specie se lui ami la vita e intenda goderla il più a lungo possibile.

Ma, con l’umanità rinnovata, il signore Iddio ispirò una nuova speranza di vita, più longeva, “Siate fecondi, egli disse, esortando i figli di Noé, e moltiplicatevi. Siate numerosi sulla terra e dominatela e quando gli uomini si moltiplicheranno il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perchè egli è carne e la sua vita sarà di 120 anni”

La spiritualità di Dio resterà in noi, limitatamente al tempo di vita, in quanto siamo di carne, quella che ricopre tutta l’ossatura, dal capo ai piedi. Essa è la nostra materia vivente, non statica,

che ci identifica nei rapporti familiari e sociali.

Quando il grande scultore del rinascimento italiano, Michelangelo Buonarroti, ultimò il Mosé, rimase stupito dalla magnificenza della sua opera e, preso da un moto di stizza, gli lanciò lo scalpello che aveva in mano, scheggiandogli il ginocchio e dicendo – perché non parli? –

Ecco, il Mosè di Michelangelo è formato da materia statica, non vivente, anche se munita di cariche elettriche e subnucleari.

Il Mosè non batté ciglio, ovviamente, né emise alcun grido di dolore. Ma lo scultore era ben consapevole che nella testa del suo Mosè non vi era traccia alcuna di massa cerebrale che presiede nel genere umano che portò, con la ragione, alla formazione del linguaggio per comunicare fra le genti.

Ma ora accingiamoci a proiettare le nostre riflessioni sull’universo subnucleare che è dentro ciascuno di noi e che custodisce il mistero della nostra vita.

Esso racchiude, come in una teca, i mattoni pesanti della nostra materia vivente, che sono il protone e il neutrone e quello più leggero, l’elettrone, di segno negativo.

Se questi tre “mattoni” fossero di peso uguale, addio bella vita!

Non saremmo esistiti sulla faccia della terra né mai altrove.

La longevità del protone, che è il “mattone” pesante, principale della nostra materia vivente e dell’universo, è di milioni di miliardi di miliardi di miliardi di anni. Una longevità evidente, ipersmisurata rispetto a quella dell’uomo che, con le sue virtù e la grazia di Dio, può raggiungere l’agognato traguardo dei cento anni di vita.

Ma il protone, per la sua preminenza, insieme al neutrone, entrambi incollati da una speciale particella chiamata “pione”, formano il nucleone, insito nel nucleo dell’atomo.

E 35 miliardi di miliardi di nucleoni formano la nostra materia vivente.

Sulla ribalta delle peculiarità, anche l’elettrone, che è la particella subnucleare elementare con carica elettrica negativa, possiede due tipi di cariche: la carica che genera la forza elettromagnetica e l’altra che deve garantire la stabilità della materia.

Ebbene, dopo sessant’anni di studi, le cariche che generano forze fondamentali sono quattro e quelle che assicurano la stabilità di tutto ciò che esiste, sono dodici.

A questo punto è opportuno riepilogare.

L’universo subnucleare, di cui facciamo parte, nasce nel secolo scorso, nell’anno 1947.

Per caso, due collaboratori del grande fisico inglese, Patrick Maynard Stuart Blackett, scoprirono che nella radiazione cosmica, oltre ai “pioni”, c’erano anche “strane” particelle che vivevano appena un decimo di miliardesimo di secondo.

Si trattava di un nuovo tipo di carica subnucleare?

Un apposito gruppo di studio stabilì che le particelle “strane” erano l’inizio di una nuova serie di quark che più tardi avrebbe recato comprensione alla struttura subnucleare a quark del creato.

E venne il genio del grande fisico italiano, Enrico Fermi, a dare luce a quella struttura con la famosa frase, in latino, che rimase impressa nella mente dei suoi allievi, nell’università di Chicago, Illinois, e nel mondo scientifico: “ Hic sunt leones” – qui ci sono i leoni –

Con la fine del mito della indivisibilità dell’atomo, sortirono le particelle del protone e del neutrone che, insieme all’elettrone, costituiscono le particelle subnucleari che formano la materia vivente del nostro corpo.

Con una espressione iperbolica , possiamo dire che Dio ha fatto tutte le cose visibili e invisibili, noi compresi, con tre trottoline e tre colle. Ricapitoliamole.

Le prime due trottoline, il protone e il neutrone, sono state scoperte con la nascita dell’universo subnucleare, la terza trottolina, l’elettrone, era già stata scoperta dal fisico John Tomson. In particolare, il protone e il neutrone, sono i mattoni pesanti della nostra materia vivente ed hanno lo stesso rispettivo peso. Al contrario, il peso dell’elettrone è 4000 volte inferiore a quello delle due predette particelle. Ad esempio, se nell’uomo o nella donna, il peso dei protoni e dei neutroni assommasse a 80 kilogrammi, il peso dell’elettrone sarebbe di appena 20 grammi.

E noi, per grazia di Dio, campiamo per tale bazzecola di peso nel nostro organismo, altrimenti, addio alla vita, addio a sogni di gloria!

La colla che unisce il protone e il neutrone è il “pione” un tipo di mesone, cioè una particella elementare presente nei raggi cosmici e responsabile delle forze di coesione nucleare.

Per fare un atomo basta aggiungere al nucleo gli elettroni, incollandoli con la colla elettromagnetica che è “il fotone”. E per fare le molecole basta mettere insieme più atomi incollandoli con la molecolare, che sono sempre “i fotoni”.

Quindi, con le tre trottoline subnucleari, protone, neutrone ed elettrone, e le corrispondenti colle,

il pione e il fotone, l’Onnipotente ha fatto ogni cosa che ci circonda nell’immanente, inclusi noi e quelle che non possiamo vedere.

La terza colla è di natura gravitazionale, quella forza, cioè, che ci tiene legati alla terra, la terra al sole, il sole alle galassie e le galassie tra di loro.

Dopo quanto enunciato, non possiamo relegare nel dimenticatoio due dati che riguardano la particella del protone, la cui longevità supera il milione di miliardi di miliardi di miliardi di anni.

Il primo dato riguarda il raggio del protone che è un decimo di millesimo di miliardesimo di centimetro. Proprio n tale infinitesimo sito subnucleare ha inizio la nostra materia vivente.

Il secondo dato riguarda la massa del protone che è pari a centosessantasette centesimi di milionesimo di miliardesimo di miliardesimo di grammo. Per avere un’idea palpante della entità di questa massa, possiamo dire che se essa fosse grande quanto una palla da tennis, un uomo sarebbe grande quanto tutto il sistema solare.

E’ bene ricordare che li scienziati Peter Higgs e Francois Englert, dopo cinquant’anni di studi, hanno scoperto, sulla massa del protone, la particella subnucleare, detta anche particella di Dio, che ha dato la massa all’uomo e a tutte le cose che lo circondano o che esistono nell’universo.

Ma è grazie alla massa che costituisce il corpo di ciascuno di noi, che l’uomo e la donna, bipedi, camminano alti, guardando negli occhi i loro simili, dopo aver raggiunto l’equilibrio che li ha portati a muoversi con disinvoltura, superando le fasi iniziali, quando, dopo il primo vagito, erano solo una massa concentrata di tempo e di spazio.

Ora, l’onore e l’onere al prestigioso laboratorio di fisica subnucleare al mondo, genialmente affidato a una donna di eccelsa erudizione scientifica, per portare a compimento la scoperta della carica “strana” che garantisce la stabilità della nostra materia vivente.

Featured image, Image of Francois Englert, physicist and professor emeritus at the Universite Libre de Bruxelles. He was awarded the Wolf Prize of physics in 2004. The image, in Israel, was given by himself on August 20 2007 with permission to use it, source Wkipedia.


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