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Riflessioni sul film “Ogni maledetto Natale”

Creato il 30 dicembre 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Con questo ulteriore parto della squadra Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo, ci siamo persuasi definitivamente che il trio di autori sia riuscito nel miracolo… Aver elaborato progressivamente un patrimonio, del tutto innovativo per il cinema italiano, di forme farsesche e sarcastiche (quando non di segno schiettamente “commedico”), capaci di coniugarsi a una narrazione audiovisiva e di proporsi come virulenta contro-lettura degli attuali scenari socio-culturali nostrani, sempre più mediatizzati: un’analisi partigiana di un’alienante e anomala società dello spettacolo che ama pascersi di luoghi comuni ossessivi e rinvigoriti al ritmo incessante di una programmazione televisiva allestita ad hoc, laddove non bastano più a rendere l’idea dello spappolamento del nostro immaginario le vecchie formule della commedia all’italiana, l’universo tipologico e concretissimo delle sue maschere caricaturali e della dialettica sociale dell’integrazione e dell’emarginazione tematizzata storicamente dal genere. Comicità dunque lucida e sofisticata, che non teme di affondare riflessivamente nella trivialità dei discorsi sociali dominanti, in questo nuovo film degli autori della serie cine-televisiva di Boris.

Un’opera, Ogni maledetto Natale, perfettamente in linea con l’estetica e la poetica dei tre sceneggiatori e registi, che lavora con umorismo surreale e nonsense su certi nostri cliché culturali (cibo, familismo, razza, mascolinità, culto virile e neoproletario della violenza, consumismo, carità cattolica, Natale…) e sulla “demenzialità” di molte nostre produzioni mediali (il degrado linguistico e neuro-cerebrale di tanta TV generalista veicolante per l’appunto quegli stessi cliché e modelli socio-identitari posticci), denunciandone e decostruendone l’allucinatoria assurdità.

Un’operazione metalinguistica che, come nel caso di Boris – Il film, parte dal cinepanettone, concepito qui quale simbolo del cretinismo, della volgarità e dell’omologazione imperanti del nostro immaginario sociale: un topos nazional-popolare, prima che cinematografico, di cui il lungometraggio farsesco in questione costituisce una versione d’autore, parodica e riflessiva.

Francesco Di Benedetto

 

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