Riflessioni sul paternalismo

Creato il 28 novembre 2010 da Carlo_lock
Occhio al paternalismo! Ne detesto qualsiasi forma. Ma che cos'è questo paternalismo? Vuol essere una forma d'amore? Di sicuro è un termine utilizzato nel linguaggio politico nel Settecento e nell' Ottocento. Possiamo dire che Napoleone stesso fosse un paternalista...Napoleone o chiunque accentri il proprio interventismo su di sé nella funzione di un "bene" ritenuto pubblico. In sintesi, il paternalista è un despota buono, che confina anche col populismo. Quindi sì: il paternalismo, almeno negli intenti, è orientato al bene, come del resto ogni padre che interviene con consigli o direttive nella vita del proprio figlio fa sempre queste cose per il "bene" del suddetto .In ogni caso, in politica, qualsiasi forma di "paternalismo" è contraria al socialismo e alla democrazia.
Però nel linguaggio comune si utilizza questa parola per indicare una persona che mira con il suo atteggiamento di superiorità a dare indicazioni perentorie sulla condotta altrui, sempre con questo discutibile intento "educativo".
Va detto che tra adulti pari questo tipo di "rapporto" educativo non funziona ed è assolutamente deprecabile. Non funziona perché una delle due parti si pone come superiore all'altro evidenziando uno squilibrio nella relazione ed evocando nuovamente gli spettri inconsci dell'infanzia. La vittima adulta del "paternalista" regredisce e soprattutto deve stare in silenzio, proprio perché il furbo paternalista nei suoi intenti "educativi" si fa forza della propria esperienza (non sappiamo se autentica o inautentica) e mette in atto dei meccanismi sottili di sottomissione uguali per l'appunto a quelli che intercorrono tra padre e figlio e, per i quali, vige il rispetto di fronte all'esperienza di uno contrapposta all'inesperienza dell'altro. E' evidente che da adulti ognuno ha la sua esperienza, tra adulti non dovrebbe esserci più il dispotismo, semmai la discussione e la democrazia...quindi ogni esperienza è valida, anche quella dell'inesperienza, che, da adulto, costituisce una forma anche di scelta. Il despota-paternalista sembra invece non dar voce alle esperienze diverse dalle sue, anche quando queste non sono corrispondenti alle proprie scelte. Un adulto non può non avere un'esperienza quale che sia e, soprattutto, ha un codice etico strutturato, una propria visione del mondo. Certo, i consigli servono, alcune indicazioni pure, purché non siano vissute in modo perentorio e coatto.
Nel paternalista c'è comunque l'aspetto costrittivo ed un giudizio imperante, tagliente, nel tentativo inconscio di rimarcare la propria superiorità, altrimenti non si alluderebbe al significato di "padre", un "padre" spesso ricondotto al padrone o anche al diavolo. Del resto freudianamente Il padre sarebbe l'individuale immagine originaria sia di Dio che del diavolo. E in più, edipicamente, il desiderio inconscio più forte del figlio-bambino sarebbe quello di uccidere il padre-diavolo, colpevole di sottrargli la madre, l'unico suo oggetto erotico. Un odio che fa anche paura...ed i paternalisti sono odiati e fanno un po' paura, anzi, ci mettono paura. Ma da adulti possiamo "ucciderli", mandandoli a fare in culo. Come può un adulto voler bene e aiutare un altro adulto, magari un amico? Come può farlo senza essere paternalista? Il paternalismo non è amore in fondo. Amare vuol dire sempre e comunque lasciare libero l'altro, riconoscerlo com'è. Il "riconoscimento" esterno di ogni uomo è anche la sua propria affermazione. "Riconoscere" vuol dire individuare l'essenza di ciascuno. Il paternalista tende a omologare, non a riconoscere. Mentre invece chi vuole bene non fa altro che "riconoscere": "ho capito chi sei, io ti voglio bene così e cerco di aiutarti per come tu potresti reagire in determinate situazioni". Riconoscere vuol dire aderire al contesto culturale, spirituale di una persona, vuol dire ascoltare...il paternalista muove l'aria nella bocca, è impegnato a profferire non ad ascoltare, scoreggia aria dallo stomaco e fa puzzare l'ambiente. I suoi consigli-ordini sono la radice dell'odio, quindi la diretta conseguenza di un rifiuto. Dobbiamo ricordarci persino il motto "vivi e lascia vivere", perché non sono le parole a guidare la propria vita, sono le esperienze intime di ciascuno. Certo, a volte la vita impone del coraggio, bisogna essere a volte dei kamikaze per capire in cosa consiste il male. Intorno a noi qualcuno ha il dovere di farci riflettere ma di fermarci soltanto nei casi di gravità assoluta. In alternativa, da adulto, credo che ognuno possa disporre della propria autodeterminazione e disporre della propria vita come vuole. Ci si può chiedere i "perché", ma fino a un certo punto. L'assurdità dell'esistenza individuale di ciascuno, a certi livelli, non ammette alcun "perché". Siamo tutti qui, che corriamo in attesa della nostra morte, ciò che ci libera dal delirio febbrile di questa vita.