Riflessioni sulla situazione

Creato il 23 giugno 2013 da Valentino
LA CRISI OCCUPAZIONALE E I TAGLI ALLA SANITA’

Durante il consiglio nazionale straordinario del 7 giugno dell’IPASVI, abbiamo avuto un quadro della situazione attuale del nostro Sistema Sanitario Nazionale. Uno dei fattori sconcertanti sottolineati dalla presidentessa Silvestro, è la continua riduzione del costo del personale (35, 6 miliardi di euro), con un decremento del 1,4% rispetto al 201, come conseguenza degli interventi di contenimento della spesa pubblica imposta dalle ultime manovre, prima fra tutte la spending review, la maxi manovra che ha individuato nell’istruzione e nella sanità, i settori di maggiore e più drastico intervento.
Ciò per quanto riguarda la Sanità Pubblica, ma le cose non vanno certo meglio per la Sanità Privata, anch’essa in piena crisi economica, in quanto finanziata in larghissima percentuale con soldi provenienti dai rimborsi DRG, quindi dalle Regioni, le quali, avendo già scarse risorse destinate al finanziamento della Sanità pubblica, hanno iniziato da tempo a chiudere i rubinetti anche per le fondazioni, ospedali e qualsivoglia struttura privata, con conseguente crollo delle assunzioni di personale e peggioramento drammatico delle condizioni di chi è già impiegato e conseguente peggioramento della qualità dell’assistenza prestata. Sono sempre più frequenti, inoltre, i casi di strutture, anche valide dal punto di vista clinico e assistenziale, scoperte in grave deficit di bilancioe quindi, considerate insolventi, con conseguenti, terribili ripercussioni sul personale del Comparto, con licenziamenti e decurtazioni di sostanziose “fette” di stipendio.
Secondo l’IPASVI, il tasso occupazionale è sceso per gli infermieri ad un anno dalla laurea, dal 94% del 2007 all’83% del 2010 con segni oggettivi di un’ulteriore riduzione. Siamo quindi ad una “stasi occupazionale” che ha indotto alcuni Collegi a sostenere la necessità della chiusura o sospensione di una parte dei corsi di laurea in Infermieristica. Oppure, in alternativa, diminuire i posti disponibili per ogni ateneo. Questa linea di comportamento non porterebbe però alcun giovamento in quanto la sospensione dei corsi di laurea non risolverebbe in alcun modo la questione della stasi occupazionale ma getterebbe le basi per problemi ben maggiori nel medio e lungo periodo. Perché?
Purtroppo nel nostro Paese , come tutti sappiamo, non è esiste la facoltà di Infermieristica: il suddetto corso di laurea è afferente alla facoltà di Medicina e Chirurgia, così come anche tutti i livelli di formazione post base quali corsi di perfezionamento, master di vario livello, lauree magistrali, dottorati di ricerca. E tutti noi sappiamo anche quanto è stato lungo il processo legislativo che ha fatto si che il Corso di Infermieristica divenisse un Corso di Laurea, contrariamente ai paesi Anglosassoni, dove la facoltà di Nursing è attiva da decenni e addestra professionisti con capacità tecniche e pratiche notevolmente più approfondite rispetto a quelle che ci vengono fornite nelle nostre Università. Conseguenza di tutto ciò è una sorta di “sudditanza accademica” in cui la nostra professione si trova, fin dalla fase formativa, rispetto a quella medica. E questo si ripercuote ancora troppo spesso anche negli ambienti di lavoro. Basti pensare che in varie Università, la direzione delle Lauree Magistrali in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche è affidata a Medici (vedi UNIMI). Diminuire i posti disponibili e il numero di facoltà significherebbe creare problemi notevoli, fra i quali:
·  il mantenimento dei docenti e dei Ricercatori in Scienze infermieristiche, che diverrebbero in esubero
·  diminuzione della forza contrattuale della professione in ambito accademico;
·  debole sviluppo della disciplina infermieristica.
Quindi, gran parte di ciò che è stato ottenuto in ambito formativo in decenni di storia della nostra professione nel nostro paese, andrebbe perduto. Una situazione complicata, resa ancor più intricata da una recente Riforma universitaria che, visto il numero esorbitante di corsi attualmente esistenti nei vari atenei del nostro paese, ha vietato l’apertura di nuove Facoltà.
La realtà dei fatti dice comunque che l’infermiere è una figura professionale infinitamente importante, ma attualmente sempre più carente all’interno del SSN. Il compito della Rappresentanza professionale deve essere costantemente quello di rendere evidente che la carenza e mancanza di infermieri ha una oggettiva ricaduta su:

·  mantenimento dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza);
·  attuabilità del potenziamento delle cure primarie e dell’assistenza infermieristica domiciliare (tanto paventata in varie e recenti campagne elettorali);
·   attivazione delle strutture sanitarie e socio sanitarie territoriali intermedie;
·  fattibilità della presa in carico di cittadini anziani, con patologie cronico - degenerative o fragili che necessitano di continuità assistenziale lungo l’intero arco della vita.
LA QUESTIONE MEDICA


Ma non sono solamente questi i punti dolenti da affrontare e risolvere. Al centro del dibattito vi è, per gli infermieri,anche la “questione medica”. Prima che fosse presentato il disegno di legge riguardante la creazione degli ordini professionali, era già presente la volontà di creare gli ordini professionali. Fattore che ha creato più di una voce di dissenso e protesta nella classe medica in quanto convinta che un’ eventuale trasformazione degli attuali collegi in ordini porterebbe, in misura sempre maggiore, un trasferimento di competenze mediche verso altre professioni.
Anche in questo caso, l’impegno della compagine professionale tutta, su questa “questione”, deve essere forte e corale”. Deve essere attivato e mantenuto il confronto, l’analisi e il dibattito per quanto attiene il costrutto disciplinare e la sfera di decisionalità, vista la sempre crescente evoluzione delle competenze e dell’operatività infermieristica nei campi clinico, assistenziale, organizzativo,gestionale e formativo.Ma soprattutto, è necessario un cambio di marcia: ci dicano in che cosa consiste l’atto medico, ci dicano sulla base di quali elementi giuridici, disciplinari, formativi, si sostengono alcune posizioni professionali che si riverberano nella stampa di settore e minano i rapporti e le relazioni professionali.
La definizione di atto medico, emanata al vertice di Bruxelles nel 2005 è la seguente: "L'atto medico ricomprende tutte le attività professionali, ad esempio di carattere scientifico, di insegnamento, di formazione, educative, organizzative, cliniche e di tecnologia medica, svolte al fine di promuovere la salute, prevenire le malattie, effettuare diagnosi e prescrivere cure terapeutiche o riabilitative nei confronti di pazienti, individui, gruppi o comunità, nel quadro delle norme etiche e deontologiche. L'atto medico è una responsabilità del medico abilitato e deve essere eseguito dal medico o sotto la sua diretta supervisione e/o prescrizione". Tutto ciò non si discosta di molto da quanto detto nelle leggi 739 del 1994, nella 42 del 1999 e nella 251 del 2000
Si può definire, quindi conclusa da diversi anni, ormai, la stagione basata sulla mitologia della centralità e primazia della professione medica su tutte le altre professioni, e del paternalismo medico, ed è evidente che la riflessione su tale questione riverbera anche sul tasso di occupazione degli uni piuttosto che degli altri, sulla ridefinizione dei paradigmi relazionali tra le professioni e tra le professioni e i cittadini e sul ridisegno dello status sociale ed economico/contrattuale.
Voi cosa ne pensate?

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