Domanda: La fisica moderna dal 900 in poi è giunta alle stesse conclusioni degli antichi Rishi Vedici di circa 5000 anni fa. Cioè che la realtà non è altro che lo spettro di un mosaico vibrante e illusorio, (Maya) appunto. Secondo lei com'è stato possibile giungere ad una realizzazione così profonda della comprensione della realtà ascoltando soltanto la voce dell'interiorità?
Andrea Boni: La voce dell'interiorità dice molto di più di quanto può dire la mera conoscenza ottenuta attraverso i sensi. Questo è uno dei primi insegnamenti dei Rishi Vedici, secondo cui la retta conoscenza (pramana) può essere ottenuta in tre modi distinti: attraverso la percezione sensoriale (pratyaksha), attraverso la deduzione (anumana) e attraverso una realizzazione interiore ottenuta sperimentando livelli di consapevolezza che vanno oltre il piano fenomenico (shabda Brahman). Sebbene tutti e tre corretti, solo l'ultimo permette l'ottenimento di una conoscenza vera, priva di errori. Ciò ha naturalmente a che fare con il livello di coscienza di colui che sperimenta. Il Centro Studi Bhaktivedanta (www.c-s-b.org), da anni opera proprio con l'obiettivo di far comprendere al vasto pubblico dell'Occidente questi importantissimi insegnamenti, i cui principi sono quanto mai attuali ed estremamente utili per potersi orientale in questa società.
Ervin Laszlo, un famoso scienziato dell'est europeo (presidente del club di Budapest e più volte candidato al Nobel - tra l'altro residente in toscana -) sostiene che l'universo è collegato e tutto è in relazione continua tra le parti. Riscopre e prende in prestito dalla cosmologia Indù l'Akasha, un campo invisibile che tutto pervade, il luogo di nascita di tutte le cose. Può aiutarci a rendere più chiaro di cosa si tratta?
Andrea Boni: Posso rispondere a questa domanda citando letteralmente una conversazione che ho avuto con Marco Ferrini, Fondatore e Presidente del Centro Studi Bhaktivedanta, con il quale ho avuto modo di confrontarmi proprio su questo tema. Per chi è interessato ad approfondire questo argomento può consultare il testo: Coscienza e Origine dell'Universo di Marco Ferrini, pubblicato dal Centro Studi Bhaktivedanta. Il termine Akasha utilizzato da Ervin Laszlo, Il vuoto quanto-meccanico postulato dal dottor Corbucci nella sua teoria delle particelle subatomiche, riteniamo possano, in buona parte, corrispondere alle caratteristiche dell’elemento “etere” postulato anche dal famoso studioso Marco Todeschini e all'elemento akasha introdotto millenni or sono dalla filosofia Samkhya. L’elemento akasha descritto dall’antica filosofia Samkhya, probabilmente la più antica del genere umano, è tradotto variabilmente nelle lingue europee moderne con i termini di ‘spazio’ e di ‘vuoto’. Per le caratteristiche peculiari del vuoto quanto-meccanico potremmo utilizzare questa stessa definizione anche per il termine akasha della filosofia Samkhya, che indica un contenitore (composto di prakriti, materia, seppur sottile, essendo uno dei pancabhuta), per l’appunto “vuoto” avente la potenzialità-disponibilità massima di manifestare tutto ciò che diventa fenomeno (dall'etere infatti, secondo il Samkhya, derivano tutti gli altri bhuta, ovvero l'aria, il fuoco, l'acqua e la terra). L'elemento akasha, insieme a tutti gli altri elementi, sono di fatto energie del parampurusha, l'Essere che si situa ontologicamente al di là di materia, spazio e tempo. Si veda a tal riguardo Bhagavad Gita VII.4:
“Terra, acqua, fuoco, aria, etere, mente,
intelligenza e falso ego – questi otto elementi distinti da Me,
costituiscono la Mia energia materiale”.
Quando si manifestano i fenomeni secondo il Samkhya? Quando nel vuoto o nello spazio si situa l’osservatore, il purusha. Qui varrebbe la pena di citare la famosa teoria, poi dimostrata ed accettata dalla scienza, del Principio di Indeterminazione di Heisenberg del 1928, secondo il quale un fenomeno non si può precisamente determinare in quanto l’osservatore - osservandolo - lo modifica; da qui appunto l'enunciazione del ‘Principio di Indeterminazione’. Similmente, nella filosofia e psicologia Samkhya si evidenza che quando il purusha - con la sua coscienza e capacità di osservazione - penetra nella prakriti o dimensione empirica, il primo impatto che questi ha è con lo spazio ed è nello spazio - nell'interazione con la coscienza - che si manifesta la materia con la sua specifica forma empirica, definita in termini moderni come massa, proprio come nel concetto del vuoto quanto-meccanico postulato dal dottor Corbucci o dall'”etere” di Todeschini. Il purusha si carica di massa, quindi manifesta il corpo materiale, a seguito dell’impatto con akasha (lo spazio, il vuoto). Che la massa si origini da questo spazio-vuoto nell'interazione con la coscienza dell'osservatore è ciò che postula anche la Fisica moderna; infatti, affinché le onde energetiche si trasformino in particelle subatomiche è necessario l’impatto con l’osservatore. Rimangono onde se non vengono osservate e diventano particelle, dunque si caricano di massa, quando invece sono osservate. Con il linguaggio della Fisica moderna il dottor Corbucci spiega che esse attingono massa dal vuoto quanto-meccanico; nella filosofia Samkhya si afferma che il purusha si riveste di materia (massa) nel suo impatto con la prakriti nella forma di akasha, ed è da questo impatto che si genera il Tempo. Quest'ultimo ha infatti influenza solo sulla massa, ma non sul purusha. Il purusha non è eterno perché dura tanto nel Tempo, bensì perché non ha niente a che fare con esso. Né con lo Spazio: il purusha è definito pura coscienza (cit), a-temporale e a-spaziale. Si veda a tal fine Bhagavad Gita II.12:
“Mai ci fu un tempo in cui non esistevamo,
Io, tu e tutti questi re, e in futuro mai nessuno di noi cesserà di esistere”.
Secondo la filosofia Samkhya, quando la prakriti è allo stato non manifesto (a-vyakta) i guna, ovvero le sue energie strutturanti, sono come forze contrapposte che si annullano reciprocamente producendo una stasi. Quando invece la coscienza (purusha) osserva la prakriti, queste forze si attivano generando i fenomeni materiali e rimangono in moto fino a che non si produce lo stato di kaivalya, ovvero la liberazione del purusha dalla prakriti così come descritta negli Yoga-sutra di Patanjali. Kaivalya consiste nel processo attraverso il quale il purusha si libera dalla massa che ha sviluppato per tornare ad essere puro purusha, puro brahman o puro atman.
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