Riforma del lavoro, “contratti a tutele crescenti”: questo il progetto di Renzi

Creato il 23 settembre 2014 da Nicola933
di Consiglia Grande - 23 settembre 2014

Di Consiglia Grande. Il premier Renzi, in merito alla questione lavoro, ha in mente una riforma del sistema, che muterebbe le coordinate di mercato e gli ammortizzatori sociali.

Innanzitutto si mira all’abolizione dell’articolo 18, che prevede il diritto al reintegro nel posto di lavoro per i licenziati senza giusta causa, per passare poi al nuovo contratto di lavoro a tutele crescenti. Il governo intende arrivarci con i decreti attuativi del disegno di legge in discussione in Parlamento oppure, in caso di ritardo delle Camere, con un decreto legge.

Per cui, in questa nuova ottica, sarebbero due le forme di lavoro a essere previste: l’automo e il dipendente.  Quella dipendente, d’altronde la pià diffusa, a cui ricorrono un elevato numero di aziende si sdoppierebbe a sua volta in tempo determinato e indeterminato. Pertanto le aziende preferiscono questa forma contrattuale, per la maggiore ammortizzazione dei costi del lavoro rispetto a quelli di un comune contratto a termine.

In questo modo, essendo cancellate le altre forme di precariato e i contratti a progetto, i lavoratori finirebbero con l’avere tutti gli stessi diritti, in base al tipo di contratto optato. Ma d’altronde, dovendo applicarsi la nuova normativa a tutele crescenti ai soli lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore di suddetta legge, sicuramente residuerebbero un elevato numero di lavoratori protetti dall’articolo 18, anche se dovrebbe con il passare degli anni arginarsi.

Pertanto, i giovani che saranno assunti con il contratto a tutele crescenti saranno tutelati da diritti e ammortizzatori, che verranno a breve definiti dal governo. Seguendo questo schema, tutti i contratti stipulati in futuro saranno a tempo indeterminato, stracciando l’attuale soglia del 15 % di lavoratori con un lavoro stabile e definito.

Ma cosa si intende per ‘tutele crescenti’? Secondo questo modus operandi, il diritto al reitegro opererebbe solo per i licenziamenti discriminatori e in tutti gli altri casi, l’azienda potrebbe licenziare liberamente il lavoratore dietro pagamento di un’indennità economica crescente in rapporto agli anni di servizio prestati, con ipotesi da uno a tre mesi di stipendio per anno di lavoro.

Intanto è prevista una prima fase del rapporto del lavoro, di tre anni circa, della quale nessuno metterebbe in discussione la libertà di licenziamento. A seguito non si sa cosa potrebbe accadere: La sinistra Pd e sindacale vogliono che, passati tre anni, torni la protezione dell’articolo 18 mentre il Nuovo centrodestra no e insiste per il solo indennizzo crescente. Il resto del Pd si divide tra quest’ultima ipotesi e quella di prevedere l’articolo 18 solo dopo un certo numero di anni di servizio (6-12-15) o una certa età del lavoratore.

Se il lavoratore, oltretutto, viene licenziato, questi avrebbe diritto all’indennità di disoccupazione dallo Stato, ovvero l’Aspi. Ne avrebbero diritto tutti i lavoratori dipendenti tra cui circa 1,5 milioni di lavoratori attualmente impiegati in contratti a progetto, collaborazioni varie e altre forme di precariato. E proprio in virtù di questa presa di posizione, il governo intenderebbe  inserire nella legge di stabilità 2015 un miliardo e mezzo di euro all’incirca. Il tetto massimo della suddetta indennità sarebbe fissato a 1.165 euro, per una durata massima oscillante tra i 18 e i 24 mesi. Il tutto però sarebbe subordinato all’accettazione di offerte di formazione e lavoro congrue. Si mira all’estinzione cassa integrazione in deroga, per chiusura delle aziende e l’indennità di mobilità. Sopravvivrebbero solo la cig ordinaria per momentanei cali di produzione e quella straordinaria per ristrutturazioni aziendali, attuata però solo a seguito di riduzioni dell’orario.  Se ne prevede l’estensione anche alle piccole imprese, che finora hanno beneficiato della cig in deroga a spese dei contribuenti e che da questo momento dovrebbero versare i contributi.