La Francia è un caso istruttivo. Nella fase preelettorale crescita ed equità, similmente a quanto accade da noi, avevano avuto un ruolo centrale nel dibattito pubblico, ma ora, in fase postelettorale, Parigi deve misurarsi con la realizzazione delle riforme. Guardiamo oltre la tassa sui patrimoni dei super ricchi e non facciamoci distrarre troppo dalle cronache di monsieur Depardieu in fuga verso Mosca: il governo francese ha fatto altro. Nel novembre 2012 è stato varato il «Patto di Competitività» che comporta numeri molto più significativi di quelli che potrà generare la super Irpef per i miliardari. Il Patto prevede un taglio delle imposte sulle imprese per circa l'1% del Pil all'anno nel periodo 2014-2016, finanziato con 10 miliardi di risparmi sul lato della spesa, e con altri 10 miliardi generati dall'aumento dell'Iva. Non sto dicendo che l'Italia debba seguire la stessa via, anche perché un ulteriore aumento dell'Iva, con un'aliquota già al 21% (e che è previsto aumentare al 22% nel luglio 2013), è per noi impensabile.
Tuttavia il caso francese lascia spazio a due considerazioni interessanti nel quadro del dibattito italiano. Primo: il governo di Parigi, che a differenza nostra non ha raggiunto l'obiettivo del 3% di deficit, stringerà la cinghia nel 2013 proponendosi, con il Patto, di ridurre le tasse a partire solo dal 2014. E lo farà nel rispetto del saldo invariato poiché le misure, almeno sulla carta, sono neutrali dal punto di vista del bilancio. In altre parole, François Hollande non si lancia in politiche espansive della domanda, ma si piega alle esigenze dell'austerità. Secondo: le misure sgravano le imprese, ma pesano sui consumatori con effetti regressivi sulla distribuzione del reddito.
Questo è il punto politico. Se un governo socialista che ha posto tanta enfasi sull'equità prende questa strada significa che, al di là della retorica preelettorale, quando non si può far leva sulla domanda, si deve agire sul Pil dal lato dell'offerta alleggerendo la fiscalità sulle imprese per garantire loro nuova competitività. Anche per noi è una priorità, ma se vogliamo affrontarla dobbiamo anche dire come politiche del genere potranno essere finanziate mantenendo l'equità. Scenari, questi illustrati, che si misurano con orizzonti di breve o medio periodo. Il prossimo governo dovrebbe trovare la forza, il coraggio e l'ambizione di affrontare anche quelli del medio-lungo e andare oltre. Mi riferisco a una riforma radicale sia sul lato delle entrate sia su quello della spesa, riforma che dovrà essere illuminata da un'idea nuova del ruolo che spetta allo Stato nell'economia, del suo peso e della qualità dei servizi che può offrire.
Questa riflessione è particolarmente urgente in Italia, dove abbiamo uno Stato altamente indebitato e altamente inefficiente, ma lo è anche in Paesi apparentemente più robusti, come dimostra il dibattito in corso negli Stati Uniti. C'è solo da augurarsi che chi ci governerà nella prossima legislatura sia all'altezza di un compito che è passaggio ineludibile per un nuovo Patto con gli italiani.