Riina, il racconto della notte dell’omicidio di Dalla Chiesa

Creato il 04 settembre 2014 da Nicola933
di Mirella Astarita - 4 settembre 2014

Di Mirella Astarita. E’ la sera del 3 settembre di 32 anni fa, quando il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa insieme la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo, viene ucciso da due colpi di kalashnikov, che prepotenti e veloci tagliano il buio per conficcarsi nel corpo del generale, l’uomo, una volta accasciatosi a terra, viene colpito da altri corpi. Una tragica notte in cui lo Stato Italiano perse uno dei protagonisti della lotta contro la mafia, il prefetto che appena 100 giorni prima era stato assegnato all’unità di Palermo.

A far luce su quella notte, e a ricostruirne ogni secondo ci pensa il boss Salvatore Riina.

4 settembre 2013, il boss è video intercettato. Tutte le conversazioni sono state depositate dall’accusa al processo per la trattativa Stato-mafia. Nella video intercettazione si vede chiara la figura del boss che parla nel carcere di Opera, dove è detenuto con il regime del 41 bis, con il suo compagno d’aria, Alberto Lorusso.

Riina racconta di quella notte, sembra quasi riviverla, secondo dopo secondo, sparo dopo sparo.

“Appena è uscito lui con sua moglie … lo abbiamo seguito a distanza … tun … tun … (si porta la mano sinistra davanti la bocca come per indicare “gli abbiamo sparato”). Potevo farlo là, per essere più spettacolare nell’albergo, però queste cose a me mi danno fastidio”.

Salvatore Riina continua la cronaca dell’omicidio con un tono quasi sprezzante. Del prefetto, il boss ne parla senza mostrare un briciolo di rispetto o di umanità. Quella notte, secondo Riina, si è iniziato a ristabilire “l’ordine”, poco gli importa delle vite che ha sacrificato.

“Questo era ubriaco o era un folle”. Riina continua, ora, però, ha quasi un tono irriverente: “Minchia, allora … deve venire… va bene. L’indomani gli ho detto: Pino, Pino (..ruota l’indice ed il medio della mano sinistra – annotano gli investigatori della Dia nella trascrizione, alludendo verosimilmente ad un suo ordine di attivarsi per un omicidio) prepariamo armi, prepariamo tutte cose”. Il boss racconta anche il backstage di quella notte, come se fosse un aneddoto familiare.

Con il boss c’erano dei suoi uomini fidati “eravamo sette o otto di noi, ma di quelli terribili”, questo è il preambolo del boss, che subito dopo descrive minuziosamente gli ultimi secondi di vita del generale.

“A primo colpo, a primo colpo abbiamo fatto… eravamo qualche sette, otto… di quelli terribili… eravamo terribili… L’A112 … 0 uno, due tre erano appresso… eh… l’abbiamo ammazzato; nel frattempo… altri due o tre … … lui era morto ma pure che era morto gli abbiamo sparato… là dove stava, appena è uscito fa … ta … ta .. , ta … ed è morto”. Il boss durante le sue “chiacchierate” con l’amico di Opera, racconta anche che all’epoca conosceva il generale Dalla Chiesa, il primo incontro tra i due era avvenuto quando Dalla Chiesa era in servizio a Corleone come giovane tenente dell’Arma. E per Riina, secondo la sua logica contorta fatta di “tradizioni e leggi” inventate da lui, proprio perché si conoscevano, il generale-prefetto avrebbe dovuto rifiutarsi di tornare in Sicilia con pieni poteri: “Questo qua cominciò da Corleone. L’hanno fatto tenente a Corleone, nella caserma di Corleone… E Corleone lo sdisossò”. Il capomafia parla anche di Rita Dalla Chiesa, figlia del generale: “Certe volte rido con la figlia, la figlia … questa ha pure … Canale 5, questa è appassionata con suo padre. Mischina ha fatto sempre bile con questo suo padre, minchia”. Il tono di Riina è canzonatorio, quasi beffardo.

Riina, ha raccontato la sua versione anche dell’episodio della “cassaforte vuota” nella villa di Pajno. “Questo Dalla Chiesa ci sono andati a trovarlo e gli hanno aperto la cassaforte e gli hanno tolto la chiave. I documenti dalla cassaforte e glieli hanno fottuti”. “Minchia il figlio faceva … il folle. Perchè dice c’erano cose scritte“, racconta Riina .

Ma pure a Dalla Chiesa gli hanno portato i documenti dalla cassaforte?”, questa domanda viene posta da Lorusso, che attento cerca di non farsi sfuggire nessun passaggio di questa storia

Sì, sì” risponde il boss che poi accenna alla cassaforte del suo ultimo covo, sostenendo che fosse priva di documenti – “Li tenevo in testa“.

Poi riprende il racconto riferendosi alla famiglia Dalla Chiesa: “Loro quando fu di questo … di Dalla Chiesa … gliel’hanno fatta, minchia, gliel’hanno aperta, gliel’hanno aperta la cassaforte … tutte cose gli hanno preso“.
La famiglia Dalla Chiesa dopo aver preso visione delle prove presentate dall’accusa hanno commentato affermando che il boss ha solo confermato i loro sospetti, e che adesso, con queste video intercettazioni, il processo sulle trattative Stato-mafia avrà nuovi elementi importanti che lo potranno portare verso una fine. Questo processo non vede solo coinvolti un’accusa ed una difesa, ma lo Stato Italiano intero.

Riina sostiene che la cassaforte di mio padre è stata svuotata dopo il suo omicidio? Beh, non abbiamo bisogno della conferma del boss. Noi lo diciamo da 32 anni…” ha detto Nando Dalla Chiesa, figlio del generale:”Lo abbiamo detto pure nel processo .E’ una cosa plateale“. “La mattina dopo l’omicidio andammo a casa di mio padre e la cassaforte era chiusa. Chiedemmo ai collaboratori domestici e poi guardammo nel mobiletto. Ma c’erano solo cassetti vuoti. La settimana dopo tornammo e nel cassetto spuntò una chiave su cui c’era scritto ‘cassaforte’. L’abbiamo aperta ma c’era solo una scatola vuota“.

Grazie le intercettazioni si è fatta chiarezza sulla notte del 3 settembre 1982, una delle prime “notti di sangue”, a cui seguirà la strage di Capaci , via D’Amelio, ed altri omicidi. In ognuno di questi “eventi” lo Stato ha perso forze e dignità, ma più che lo Stato, quelli che sono stati realmente colpiti sono tutti coloro che con impegno, forza e dedizione cercavano di regalare un futuro “pulito”, evirando tutto il male che si stava e si è radicato nel nostro Stivale, e chi credeva in loro e sperava, davvero, che ci riuscissero.


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