Pubblicato da
Desy Giuffrè
Esiste un unico suono in grado di far cessare tutti i rumori del mondo:
quello delle pagine di un libro che ci cattura dentro la sua storia.
Non è solo un titolo che racchiude un secolo intero, ma l’inno ad una vita che ha paura di vivere. Giochi di parole? No, è semplicemente il sunto di Novecento, monologo teatrale che Baricco ci regala nel 1994, pubblicato da Feltrinelli e dal quale è stato tratto il celebre film dal titolo La leggenda del pianista sull’oceano. Un’autentica trama di parole che si appendono tra loro, divenendo ciascuna indispensabile per l’altra. La storia di Danny Boodman T.D. Lemon e del suo morboso attaccamento al pianoforte che si trova sul Virginian, transatlantico dal quale Danny mai vorrà scendere, è intrisa d’immagini che si attaccano non alla sua vita, bensì a quella di tutti coloro che Danny studierà dal suo micro mondo fatto di musica ed emozioni.
Perché sarà un pianoforte l’unico strumento a cui egli permetterà di dar voce alla sua esistenza trascorsa attraverso gli altri, ovvero i passeggeri che saliranno e scenderanno dal Virginian, i quali saranno delle autentiche finestre sul mondo per il nostro protagonista. Per Danny non esistono compromessi con la vita, e la paura di affrontare il mondo che sta lì, al di là del confine dell’oceano, è incalcolabile. Tutto, per lui, deve appunto essere finito, determinato, per non indurre alla frenesia pericolosa e accattivante che la vita oltre la tavola del mare porta con sé. Una tastiera infinita, affascinante, letale, quella che suona le corde dell’animo umano, capace di trascinare Danny in un vortice di tentazioni.
“…Ho detto addio alla musica, alla mia musica, il giorno che sono riuscito a suonarla tutta in una sola nota di un istante…”
“C’era dentro tutto: tutte in una volta, tutte le musiche della terra”.
“E dove voleva lui era in mezzo al mare, quando la terra è solo più luci lontane, o un ricordo, o una speranza”.
Baricco traccia i profili di una vita originale, solitaria quanto caotica come quella di Danny, ritraendo in tal modo le paure, le ansie, gli sgomenti e i desideri di un’incalcolabile quantità di persone in carne ed ossa che ogni giorno si ritrovano nei panni del protagonista di questo monologo, incapaci o impediti di varcare il piroscafo della loro Virginian quotidiana. Ossessioni di un uomo che teme se stesso e l’intensità delle proprie emozioni, o un insolito inno alla bellezza della vita?
“La terra…è un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare”.
Fotografie di fantasie e speranza di ricordi mai avuti. Un grido al mondo “cornuto” che non si rende conto di quanto la vita sia “una cosa immensa”.
Sebbene in diverso stile, il tema del mal di vivere è ripreso ampiamente e forse ancor più elaborato in uno dei più bei titoli firmati da Baricco. Sua opera di esordio, datato 1991, uscito per Rizzoli e considerato un’autentica galleria di storie umane, Castelli di rabbia è un romanzo ambientato in una piccola città immaginaria dell’Europa del 1800 che racchiude in sé le vittorie e le sconfitte dei diversi personaggi, uomini che hanno fatto la storia de se e dei per come.
Protagonista Dann Rail: coltiva il sogno che vede la costruzione di un’opera grandiosa, quale l’enorme ferrovia paneuropea. E poi c’è la signora Rail. E ci sono le sue labbra. Un amore, un legame che si fonde e si spezza al ritmo delle emozioni. Che non sa ancora trovare le risposte alle proprie domande. Ma Castelli di rabbia è un vero e proprio coro di racconti, di vicende inammissibili che ruotano attorno a diversi personaggi, come l’uomo che arriva ad uccidere per stanchezza o quello costretto ad assistere all’asta dei suoi beni. Che dire di colui che muore a causa di uno stato di stupore?
Personaggi che germogliano dalla fantasia come Mormy, Pehnt, Pekish, la vedova Abegg ed altri che aprono squarci di eventi e tematiche come lui, Hector Horeau, architetto geniale e smarrito che nel romanzo va alla ricerca di Dann Rail per la fornitura di lastre di vetro. Insieme a Richard Turner, lavorerà al progetto per la costruzione del Crystal Palace, per poi vedere il suo sogno di gloria valicato da Joseph Paxton. Tra realtà e fantasia, Castelli di rabbia si presenta come un affresco di sogni che pone limiti ben marcati tra un colore e l’altro, tra una vita e l’altra. Pur rendendoli parte della stessa, magnifica opera.
“Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde”.
Nel 1993 è la volta di Oceano mare, romanzo diviso in tre libri che pur si ricollegano ad un unico, immenso protagonista: il mare. Il mare guaritore, assassino, colpevole e salvifico. Cuore di vite spezzate e fonte e di un nuovo destino. L’ambientazione è quella che vede la Locanda Almayer ospitante i diversi e originalissimi personaggi che lasciano navigare le loro storie tra ricordi, prove e paure da superare: la bellissima Madame Deverià in esilio per guarire dalla malattia dell’adulterio. Padre Pluche che accompagna dalle Terre di Carewall la giovane e misteriosa Elisewin, sensibile allo stremo e in lotta con i propri timori verso il mondo intero. Il professore Bartleboom con le sue teorie, i suoi studi, i suoi discorsi che non concedono limiti, pur nascendo dal desiderio di poter distinguere la natura di questi ultimi. Personaggio indimenticabile è certo il pittore Plasson, colui che cerca di dipingere gli occhi del mare sulle sue grandi tele bianche, imbevendo il suo pennello unicamente in acqua di mare.
“Sulle labbra della donna rimane l' ombra di un sapore che la costringe a pensare 'acqua di mare, quest' uomo dipinge il mare con il mare”.
Immagini che resteranno sempre lì, impresse e invisibili agli occhi del mondo cieco. Ma al centro di tutti emerge un argomento, quello più crudo, doloroso e insanabile. S’intende il naufragio della fregata francese Mèduse, avvenuto nel 1816 nei pressi dell’attuale Mauritania. Savigny, medico francese che nel romanzo aveva fatto parte dell’equipaggio, insieme ad un marinaio, che durante l’incidente perderà la sua donna, daranno voce allo scenario di morte e desolazione che avverrà a bordo della zattera in cui i passeggeri naufragati cercheranno vanamente la salvezza, inizialmente ignari del dolore, delle atroci sofferenze che li condurranno al cannibalismo, apice del dramma che il destino, o il mare, hanno scelto per loro.
La forza della rinascita e l’abbandono ai propri abissi. Un libro che unisce i pensieri, i diversi punti di vista, le speranze e gli adii di personaggi realmente difficili da dimenticare.
“Sai cos’è bello, qui? Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia, e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un’orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte. La marea nasconde. È come se non fosse mai passato nessuno. È come se noi non fossimo mai esistiti. Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera. È tempo. Tempo che passa. E basta”.