Ok, questo sarà un momento serio.
Uno dei rari momenti seri, a cui né io né tanto meno voi siete abituati, quindi, in caso non ne abbiate voglia, lasciate stare.
Da un po' di tempo c'è un pensiero che mi insegue a intermittenza.
Sto lì lì per, poi lascio stare.
Perché esporsi? Perché sbandierare come a Carramba le proprie emozioni più intime?
Però mi sembrava mi inseguisse, davvero.
Prima ho conosciuto Giuppy ed Ele, e ho trovato questo post. E poi, se mi è concesso, anche questo.
Poi mi sono imbattuta in questo di Gnappetta.
Ho conosciuto Owl, e anche da lei ho trovato questo scritto.
E ancora, questo, di Tri mamma.
Di recente la notizia della morte del padre di un'amica di infanzia mi ha portato a ripensare a quei momenti. Di attesa incerta. E ora, cosa accadrà? Non era molto chiaro, all'epoca.
Basta: rimettiamo un po' di cose a posto, che questa casa è un casino.
Ecco: guarda qui, questi quaderni mezzi scritti e mezzi no. Appunti dei miei corsi universitari. Che me ne faccio? Conoscendomi, li tengo per poter utilizzare le pagine ancora vuote.
Potrei strapparle e farne un bloc notes.
E poi, mentre sfoglio, mi capita tra le mani un quaderno di sette anni fa.
Non erano appunti universitari. Erano riflessioni.
E allora ho pensato di trascriverla qui, trovata in un quaderno di sette anni fa, rimettendo tutto a posto.
Non è mettere in piazza il dolore. E' condividere un ricordo.
Anche se poi forse mi pento. Ma ciò che proprio non vorrei è lasciar morire i ricordi.
E poiché ora non mi sento capace di scrivere e ricordare, li raccolgo da allora.
Non ci azzecca nemmeno con il tempo e la stagione, ma così: si è lasciato trovare.
7 ottobre 2004
Caro babbo,
sono tornata a casa.
Casa: mai come questa volta sento davvero di essere a casa. L'aria che si respira qui, il cielo, le vedute del sole che tramonta coi suoi raggi obliqui sulla mimosa e sugli altri alberi che mi fanno pensare a te, i colori di questo autunno appena agli inizi, così dolce e ancora più triste del solito, perché spazza via a ondate progressive anche gli ultimi ricordi di questa estate sofferta, ma pur con te, l'ultimo tempo della nostra vita in cui tu eri ancora presente.
Quanta calma sento dentro quando guardo quei prati al tramonto, dove un tempo, neanche tanto tempo fa, ero abituata a vedere te, tra le tue piante.
E io che per tanti anni mi son sentita tanto inquieta, ora ritrovo questa calma proprio quando tu non ci sei.
Perché qui mi pare di averti più vicino, in questo ambiente familiare in cui tutto mi parla di te.
Non ho mai amato tanto questa stagione. E ho sempre preferito vedere un'alba a un bel tramonto. Le prime foglie secche erano per me una stretta al cuore, e mi son sempre chiesta perché dovessi esser nata proprio in questo mese di ottobre, a festeggiare la mia venuta al mondo proprio quando la natura si prepara ad indossare il suo abito di morte apparente.
Ora non è più così. Penso che il fatto di esser nata in questa stagione abbia influito su quell'aspetto di malinconia e ombrosità che c'è nel mio animo da sempre, la paura che il tempo passi prima di poterne godere, che le cose finiscano prima di essermene saziata, la tristezza di veder morire una cosa bella senza poterci fare niente.
Questo sentimento mi ha accompagnato fin da quando ero piccola. Questo senso di inadeguatezza alla vita, di cui ti parlavo.
Perché la vita è morte, anche, e questa realtà che tutti conosciamo, spesso non amiamo prenderla troppo in considerazione, forse pensiamo che non ci riguardi, e, in fondo, perché preoccuparsene anzitempo?
Eppure il tempo che passa ci spaventa, e il susseguirsi delle stagioni ci stringe il cuore e ci serra la gola, ci fa sentire la finitezza del tutto come una lunga agonia. È stato quest'anno che mi sono accorta di amare questa stagione lenta e fatale.
E' stato solo dopo averti perso, tu, che sei stato una presenza così grande nella mia vita che ora mi sembra di vivere mutilata di un pezzo di anima; è stato solo dopo aver perso te che ho intuito la bellezza incomparabile di quei pochi minuti di attesa prima che il sole lasci il nostro emisfero tirandosi appresso lo strascico delle ultime luci crepuscolari. Solo ora godo la dolcezza di queste serate autunnali ancora memori del caldo e della luce estivi, ma coi loro raggi sempre più inclinati e quel senso di precarietà che ti mantiene consapevole del fatto che sono le ultime da passare in terrazza a guardare il cielo arrossarsi, che ti fanno sentire il desiderio di godertele ora, che ti sfuggono tra le dita scorrendo via sempre più brevi, perdendo di giorno in giorno minuti preziosi di sole, che prima si stiracchiava pigro invadendo le ore della notte, quelle tiepide notti estive quando la gente non aveva voglia di tornare a casa a dormire.
Quanto sono più preziosi questi momenti che sai essere gli ultimi?
Come un memento che si rinnova di continuo sotto i nostri occhi, dicendoci di vivere, vivere e soffrire, vivere e sapere di vivere, e di star vivendo gli ultimi momenti del nostro tempo nell'eternità.
Ancora non riesco a credere che tu sia finito qui, a questo punto incerto della mia vita, nonostante io abbia assistito alla tua lunga malattia, alla tua morte, poi.
Ma nei miei pensieri ti affacci sempre come eri prima, col sorriso di quando avevi appena detto una spiritosaggine o un'osservazione pungente su qualcuno, pieno di forza e di vita e di voglia di fare, di vedere, di conoscere.
Tu, per me, il mio riparo da quel mondo ostile che volevo conquistare ma che poi a volte mi prostrava. Allora bastava prendere il telefono, e chiamarti; rispondevi: "Eh!".
Ora è mattina, e c'è aria di casa in autunno, quando si era all'inizio dell'anno scolastico e ci si svegliava sempre più sonnolenti di giorno in giorno, perché il sole era sempre un po' più in ritardo. E i diari erano nuovi e ancora troppo bianchi, e correvamo per comprare e vendere libri usati, e quando pioveva mi facevo accompagnare da te in macchina ed eravamo sempre in ritardo.
Gli stessi odori della casa, dell'aria un po' più pulita e pungente che in estate, della mattina a colazione, la stessa atmosfera di un mondo che ci appartiene.
Come posso farmi una ragione che in questo tutto manchi qualcuno di così centrale, così importante, così caro?
Quando, dopo l'estate, sono ripartita, tu non mi hai accompagnata alla stazione.
Anche quei momenti avevano la stessa silenziosa malinconia di una giornata d'autunno. Andavamo alla stazione, tu mi accompagnavi, in macchina, ed era sempre tardi.
Parlavamo, lungo il percorso; io facevo come se niente fosse, ma dentro il cuore batteva più forte, come per tentare di superare in velocità le lancette dell'orologio e spingere il motore dell'auto a seguire quel ritmo. Da una parte il treno che partiva, dall'altra tu, che restavi, e gli ultimi minuti per parlare. Presto che perdiamo il treno. Ma in realtà avrei voluto e stare ancora un po', attardarmi...
Anche stavolta il treno è passato lungo la costa, e ho visto il sole tramontare sul mare.
Sentivo il cuore strapparmisi e venivo trasportata sempre più lontana dal tuo ricordo, da quelli che ti amavano, verso un mondo che ti ignorava, e ignorava il mio dolore. Gli amici lo avrebbero rispettato, ma in silenzio, evitando di parlare di te, nessuno però avrebbe capito.
Davanti a quel tramonto ho pensato che mi sarebbe piaciuto ritornare in quei posti per vederli insieme a te, in uno dei tanti nostri viaggi, come sempre capita di fronte a qualcosa di molto bello, che ti vien voglia di condividerne con qualcuno le emozioni.
E poi subito dopo la consapevolezza che tu ed io d'ora in poi siamo separati in due dimensioni diverse, e il baratro nerissimo di non vederti mai più, di non poter più condividere quei tramonti sulla costa, mi ha ingoiato, e sono morta anch'io un pezzettino.