Così poi esci di fretta dal corso serale di francese, perché sono le 9menoqualcosa e dopo una giornata in ufficio di riunioni, decisioni e design pattern, dopo le quasi tre ore di accenti francesi sbagliati e risate isteriche, ecco non vedi l'ora di prendere la metro, tornare a casa, staccare la spina, al caldo, mangiare, che c'è anche la ragazza che ti aspetta per cena, che brava, e allora forza, senza perdere tempo, prendi la metro, fai il cambio di linea, riprendi la metro e rimani vicino al portellone, per poi essere uno dei primi ad uscire, per fare in fretta, tornare a casa, il riposo, cenare, soltanto due fermate e sarai quasi arrivato. E mentre la metro corre e corre per portarti a destinazione il più rapidamente possibile, ti rivedi riflesso nel vetro un po' sporco del vagone e incominci a pensare, ti perdi in qualche labirinto celebrale, di quelli sempre pieni di qualche sorta di buco nero mentale, che si attraversano, ti risucchiano, ti portano lontano, e rimbalzi da un dubbio ad un'immagine, da un ricordo a qualche riflessione, fino ad arrivare ad un pensiero, fisso, chiaro, irrisolto. Poi d'improvviso qualcuno ti spintona per sbaglio, perché sei sempre lì, a lato dello portellone, pronto per uscire, tornare a casa, e torni alla realtà. La gente esce, esci anche tu e non riconosci la fermata, ti accorgi che qualcosa non va, non capisci dove sei, alzi gli occhi e leggi con le pupille dilatate "Gribaumont". Che? Sì, ti accorgi che casa tua era CINQUE fermate fa. Chiudi gli occhi, vorresti non fosse vero, c'era la fretta, c'era il desiderio del caldo, di casa, di cena, lei che ti aspetta. Niente, ti sei distratto per quel pensiero. Che poi - ti domandi - che stavo pensando? Eh sì, te lo sei pure dimenticato. Ma che rincoglionito.