Questo il percorso e l'impresa può anche riuscire, ma c'è il pericolo di un'infausta eterogenesi dei fini: un movimento elitario, infatti, per di più a vocazione maggioritaria, indebolisce la democrazia non diversamente da populismi resi liberi e scatenati dall'insufficienza di partiti arretrati.
Il rifiuto dell'idea di partito è alla base, a mio giudizio, di questo percorso sbagliato. Non a caso i nostri padri costituenti, che bene conoscevano la politica e i suoi strumenti, che la libertà avevano custodito nella clandestinità e conquistata nella lotta di liberazione, hanno parlato, in modo solenne, dei partiti. Li hanno evocati come strumento di cui i cittadini hanno diritto «per determinare, con metodo democratico, la politica nazionale» (Cost. art. 49). Avrebbero potuto ? i nostri costituenti ? limitarsi a dire che i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente per determinare la politica nazionale. No, hanno parlato di «partiti», e non a caso, perché il «partito» è molto di più di un movimento, o di una associazione, è «storia». È storia del proprio Paese, certamente soggettiva, di una «parte», ma sempre storia forte, di ieri e di domani. Rispetto a questa idea di partito, il movimento elitario (ma anche quello populista) ha una insostenibile «leggerezza» quanto all'esercizio del potere per cui si vuole candidare. Di fatto, diventa un partito personale, centrato sul leader, e così la democrazia anziché ampliarsi si restringe e si mortifica. Non si corregge, insomma, una democrazia e insieme una politica con l'invenzione del movimento; la si corregge innovando profondamente i partiti che ci sono (vediamo la meritoria fatica di Bersani e del suo partito che, con le primarie, si è rinnovato, anche programmaticamente, più di quanto non sappiano essere innovatori quanti si affaticano in riunioni e patteggiamenti privati) o proponendone dei nuovi.
Certo il movimento può diventare un partito, trovare nella forma partito il suo sbocco naturale. Ma quando? ma come?
Mi viene in mente don Sturzo, nel '19, il suo Manifesto e l'offerta di un nuovo partito agli italiani, «liberi e forti». Tenendo conto del variegato mondo cattolico, il grande prete di Caltagirone poteva limitarsi a proporre e a organizzare un movimento. No, ha voluto nettamente essere «parte»; ha voluto un partito che riassumesse una storia in cui ci si potesse riconoscere, vivendola nella sua imprevedibile e dinamica progressione. È una lezione lontana nel tempo, certo, ma è bene non dimenticarla.