L'istruzione in Italia deve essere rinnovata. Su questo siamo tutti d'accordo. Siamo stanchi di vedere posizioni così ingrate nelle classifiche PISA (Programme for International Student Assessment – Programma per la valutazione internazionale dell'allievo), dove i nostri 15enni fanno la figura degli analfabeti non solo nei confronti di coetanei del Sud-Est asiatico o del Nord Europa, ma anche di paesi più modesti come Slovenia ed Estonia che non hanno certamente dato i natali a Guglielmo Marconi, Dante Alighieri o Leonardo da Vinci. Peggio: i ragazzi di stare a scuola non ne vogliono sapere.
Ecco allora che prontamente si invocano riforme e rivoluzioni. Non c'è governo "riformista" che non sia andato incontro a pesanti critiche e a sollevazioni popolari minacciate o sfiorate. La verità è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno vuole dirla: una scuola a misura di professore non sarà mai una scuola in cui crescere i ragazzi. Ben inteso, il ruolo dell'insegnante è tutt'altro che secondario, anzi, deve essere valorizzato per quello che realmente è. Ma non sarà una passeggiata, tutto deve cambiare per sperare di non perdere altre generazioni – tasso di occupazione dei giovani italiani 18-29 anni: 38,8%, nel 2015; alle soglie della crisi era del 55% – nel limbo della non-occupazione, del non darsi da fare, del non lavoro.
Hanno provato la bacchetta magica: dare l'iPad ed il computer a tutti gli studenti. Scelta giustissima: alfabetizzare all'informatica ed all'uso delle nuove tecnologie è il nuovo "sapere l'inglese", ma non è bastato. Non è bastato perché gli studenti non hanno migliorato granché le proprie competenze. La tecnologia non rende più brillanti. Non servono computer e lavagne interattive se poi l'impostazione rimane quella del "Libro Cuore", di duecento anni fa.
Cosa rende svegli i ragazzi svegli? Cosa li prepara ad affrontare la vita? La vita stessa. La vita che il più delle volte è fuori dalle aule e fuori dai banchi. In Italia si parla molto di alternanza scuola lavoro ultimamente, e per fortuna non sono solo parole. Finalmente si inizia a capire che l'alternanza non è uno stage e che non è utile a nessuno parcheggiare ragazzi confusi in azienda per poche settimane. L'alternanza vera e propria è integrazione ed inizia quando le scuole (anzi, gli insegnanti) iniziano a dare lezioni alle aziende e quando contemporaneamente le aziende danno lezioni alla scuola. Il contenuto delle "lezioni"? Preparare una persona e stimolarla ad imparare da ogni esperienza, con curiosità e interesse. Farla crescere per il lavoro e per la vita.
Sono numerosi gli esempi di questi passi verso l'integrazione scuola-lavoro. Sono d'accordo tutti, le molte scuole che si cimentano nei progetti, le aziende che ci credono, i sindacati ed i ragazzi.
Bisogna iniziare a dirlo e a darlo per scontato, però, perché a volte il messaggio passa ancora come una novità. Quando un'esperienza di lavoro è connessa a doppio filo con lo studio, imparare e mettere in pratica diventano una cosa sola e i risultati arrivano in ogni ambito.
Simone Caroli