Magazine Cultura

Rino Scotto: l’Amore di un Padre tra le Favelas del Brasile

Creato il 13 marzo 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Rino Scotto: l’Amore di un Padre tra le Favelas del Brasile

C'è un rischio che si corre di fronte a certe storie ed è quello di trovarle troppo lontane o troppo personali o troppo assurde per potersi immedesimare in esse e scorgere qualcosa che ci riguardi. Il brevemondo (Edizioni Eracle, 2012) di Rino Scotto di Gregorio è addirittura tutte e tre le cose. È una storia lontana perché viene dal Brasile, è una storia personale perché parla di un padre, Rino stesso, e di William, suo figlio adottivo, ed è una storia assurda perché ha come sfondo la dimensione dei meniños de rua, i ragazzi di strada di Rio de Janeiro.

Cercare un nesso con la nostra realtà richiederebbe più di uno sforzo, ma d'altro canto, se scegliessimo di non farlo, il pericolo sarebbe di credere ingenuamente all'immunità del nostro quotidiano, al fatto che un racconto delle favelas nulla abbia a che vedere, per esempio, con le cronache delle nostre periferie cittadine. In poche parole, ci lasceremmo sfuggire il messaggio universale che, guarda caso, caratterizza ogni storia lontana, personale e assurda.

Scritto dopo la tragica scomparsa di William per mano di uno dei tanti squadroni della morte, Il brevemondo è il dialogo tra un padre appassionato e folle d'amore e "un figlio di sangue e di cuore", un ragazzo di strada "di traverso" sulla sua strada, "trovato, non cercato, accolto e mai pervenuto". Quando ad aprirsi è la porta della mortuaria dove, in una bara e coperto di fiori bianchi, giace il corpo della vittima, l'impressione è che sia troppo tardi, che ci si appresti a leggere il resoconto di un fallimento umano e affettivo, ma presto il fotogramma scorre all'indietro e William è vivo, in una stanza di Bonsucesso, zona nord di Rio de Janeiro, che intrattiene con Rino una lunga conversazione su Dio e il senso della vita, sui grandi avvenimenti contemporanei e su quel paese, il Brasile, che tenta di nascondere i cenci sotto una veste verde e oro. Appena fuori l'uscio il mondo è in lotta perenne: il popolo delle favelas combatte la sua battaglia giornaliera con le forze dell'ordine e le bande rivali si contendono il narcotraffico. Ai margini di una società già di per sé emarginata, il tempo dell'infanzia e dei giochi si accartoccia fino a deformarsi totalmente. Si è schiacciati dalla fame, dalla violenza, dalla prostituzione, dall'uso di droghe rudimentali per poi finire, come nella notte della Candelaria, esanimi sul sagrato di una chiesa, sotto i colpi di un'arma da fuoco.

Padre e figlio sono tutti lì, nel loro scambio concitato di battute, nelle speranze di riscatto del primo, nel rifiuto continuo del secondo. Ostinazione contro ostinazione, buoni propositi contro il fascino malvagio di una cultura che non contempla il concetto di "bene". Per William quell'affetto paterno è una prigione dalla quale fugge puntualmente e alla quale ritorna nei pochi momenti di lucidità e pentimento a intermittenza. È un figlio difficile lui, uno di quelli che ti deludono ogni giorno, che ti sgranano davanti il rosario dei loro errori come niente fosse e poi si ripresentano con l'aria da innocente, una personalità complessa e irriducibile come complesso e irriducibile è l'ambiente che l'ha generata. Rino è un padre che resiste nonostante tutto, che forse farebbe meglio a tornare nella sua Procida, al suo lavoro e alla sua carriera politica, ma non basterà la comprensione del genitore né la competenza dell'educatore (Scotto di Gregorio è esperto in pedagogia) per strappare il ragazzo alla mentalità autodistruttiva ed evitare il finale scontato. William concluderà la sua avventura terrena a diciassette anni, trivellato da dieci proiettili calibro 40, con un trauma cranico, una tibia rotta e un avambraccio spezzato.

La visione di un figlio ridotto a brandelli, tuttavia, non ha ispirato il romanzo della disperazione. In quella visione è contenuta la grande verità sul loro legame: erano padre e figlio. Non c'è altro da aggiungere nel momento in cui l'amore suggerisce la risposta esatta alla domanda sul senso di ciò che è stato, di ciò che sarà. "Può sembrare tardi, ma proprio qui, nella bara, c'è la verità più limpida e viva, l'evidenza ultima e definitiva sul fatto che ciò che ho tanto amato e che sta andando incontro all'abbraccio della terra, sia mio figlio. Mio figlio e basta. Padre e figlio siamo io e Willy e continueremo a parlarci, e io continuerò a preoccuparmi per lui e per il suo incerto giaciglio anche nell'aldilà. William, ti amo e sarà per sempre".

La stessa verità si estende oltre l'oceano per rivelare chi siamo tutti noi per tutti gli altri. Siamo padri dei tanti figli abbandonati e smarriti, chiamati ad allungare le aspettative e ad allargare le vedute di un'esistenza corta e stretta. Se brevemondo dev'essere, che sia un mondo breve nelle distanze e mai nelle speranze.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :