Nasco da un improbabile matrimonio tra un ramo plebeo e uno artistico in cui vigeva il motto "noblesse oblige".
Parafrasando il mitico film di Monicelli "Il Marchese del Grillo", di cui ogni giorno si possono usare battute a non finire perché si adattano ad ogni minuto del nostro tempo, oggi voglio parlare di mio padre - il plebeo - Gasperino il carbonaro, tanto per intenderci.
Giuseppe Lena (mio nonno per la cronaca) si sposò con Rosa (mia nonna) quando era già in là con gli anni, in seconde nozze. La prima moglie Colomba, un nome, un programma, la seppellì quando ancora infuriava la prima guerra mondiale e la liquidò con una bella iscrizione tombale in cui si dichiarava "marito inconsolabile". Lo fu talmente che l'anno dopo si rimaritò, questa volta con una donna molto più giovane di lui. Nonna Rosa, che non ho conosciuto, aveva un viso lungo e malinconico, e nell'ottobre del 1918 diede alla luce un figlio, che probabilmente nessuno dei due si aspettava e lo chiamarono Mario. Mio padre nacque a via Anicia, nel cuore di Trastevere che allora non era certo meta di turisti e di svago del sabato sera. Giuseppe era un uomo alto, severo, che portava avanti il suo lavoro di capomastro con fierezza, ma credo proprio che quella paternità lo lasciò stupito e preoccupato. Un bimbo nell'ottobre del '18 con il razionamento del carbone e la spagnola che affondava i tacchi in Italia con il suo passo pesante da flamenco, non doveva certo essere una passeggiata! E lui si prese così a cuore l'essere diventato padre alle soglie della vecchiaia che decise di andarsene da quel quartiere insalubre dove il Tevere straripava ogni due per tre e così si stabilì all'Esquilino, il quartiere umbertino, nuovo di zecca...