Nelle condizioni dell’Italia di allora ciò avrebbe voluto dire, in sostanza, guidare i contadini ad una lotta per la terra specialmente nel Mezzogiorno. Ciò ha fatto riassumere, non a torto, le vedute di Gramsci s questo riguardo nella formula del Risorgimento come < rivoluzione agraria mancata > ( che però non ricorre mai in lui ). E, in effetti, anche se egli ha presente che al di là di una certa democratizzazione non si poteva < forse giungere date le premesse fondamentali del moto > risorgimentale nel suo insieme, a suo avviso il fallimento del partito d’azione impedì < di inserire il popolo nel quadro statale > dell’Italia unita e facilitò la condotta corporativa di classe della borghesia moderata che resse lo Stato unitario. Questa linea di giudizio non è esente da oscillazioni, e perfino contraddizioni, soprattutto per il ripetuto tornare di Gramsci sulle condizioni non solo <soggettive> (programma, omogeneità sociale coi moderati etc.), ma anche <oggettive > ( situazione internazionale del tempo, particolarità italiane etc. ), che danno conto della sorte della sinistra risorgimentale, in ultima analisi ( come egli vedeva nel 1860 < possibile > azione storica, a cui il partito d’azione ( con Mazzini, Garibaldi, Pisacane etc. ) a suo avviso era mancato, illustra, tuttavia, a fondo il progetto non più storico, ma attuale e politico che Gramsci sentiva come problema di democratizzazione dell’Italia dei suoi tempi. E non a caso sia quell’azione storica mancata che questo progetto e problema ruotano largamente intorno al Mezzogiorno e ai suoi contadini come soggetto storico, che, mobilitato attorno al tema della riforma agraria, Gramsci giudica destinato, nel passato e nel presente, a spostare gli equilibri politico-sociali dell’Italia: la questione meridionale è, infatti, ai suoi occhi una delle conseguenze più dirette del carattere limitato e classico assunto dalla direzione moderata dello Stato unitario. Per quanto riguarda quest’ultimo, il giudizio di Gramsci è, però, ancora più complesso. La critica della natura borghese del suo ordinamento e della sua politica, che Gramsci sviluppa ampiamente, neppure in questo caso ignora o disconosce la positività e la modernità della soluzione risorgimentale. In un’occasione solenne come il discorso contro il nascente regime fascista, tenuto alla Camera dei Deputati nel 1925 egli avrebbe addirittura dichiarato che i comunisti si proponevano di fare come la minoranza borghese del Risorgimento, la quale, pur essendo appunto una minoranza, però, < siccome rappresentava gli interessi della maggioranza anche se questa non la seguiva, così ha potuto mantenersi al potere >. D’altra parte, il giudizio di Gramsci sull’Italia unita è assai duro su problemi essenziali e su momenti e uomini fra i più rilevanti. Dal punto di vista della sua ottica risorgimentale, la questione più importante è quella del trasformismo. In esso Gramsci vede non soltanto una prosecuzione, bensì anche un deterioramento della < azione egemonica intellettuale, morale e politica > esercitato dai moderati sui democratici nel periodo che aveva portato alla unificazione. Nel Risorgimento l’assorbimento dei democratici da parte dei moderati aveva però, un alto contenuto storico, perché – come si è visto – la borghesia moderata si era fatta portatrice degli interessi dell’intera nazione; nell’Italia unita diventa strumento della versione più ristretta e più classistica che i governi del periodo unitario danno del loro compito nazionale. Così l’egemonia dei moderati nel Risorgimento diventa il loro dominio nell’Italia unita, il loro < crudo ‘dominio’ dittatoriale >. Gramsci distingue, anzi, un trasformismo < molecolare > fino al 1900 ( ossia l’assorbimento individuale degli elementi migliori e più attivi dell’opposizione democratica nella < classe politica > conservatrice-moderata ) dal < trasformismo di interi gruppi di estrema che passano al campo moderato > negli anni dopo il 1900. Il risultato del trasformismo è la < decapitazione > dei gruppi progressisti e il < loro annichilimenti per un periodo spesso molto lungo >. Il Risorgimento si conferma, quindi, per Gramsci, anche nei suoi effetti sulla vita dell’Italia unita, quale egli lo definisce, come < uno svolgimento storico complesso e contraddittorio, che risulta integrale da tutti i suoi elementi antitetici >.
La soluzione unitaria ha realizzato una promozione e modernizzazione del paese ed ha corrisposto agli interessi preminenti della nazione, ma le classi che hanno prima diretto il movimento nazionale e poi governato lo Stato unitario hanno agito su una base essenzialmente conservatrice e moderata, che ha limitato la positività del processo e che si è andata accentuando col tempo: si può riassumere così il giudizio d’insieme, il giudizio gramsciano sul Risorgimento, nel quale perciò rientrano in una sintesi molto complessa le nozioni di < giacobinismo >, < egemonia >, < dominio >, < questione meridionale >, < trasformismo >, < rapporto tra città e campagna >, < questione agraria >, che sono tra le nozioni centrali del pensiero di Gramsci. - Giuseppe Galasso- Le parole, l’unità,1987.
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IO VORREI CHE A METTERNICCHE
Io vorrei che a Metternicche
gli tagliassero le gambe
le mettessero per stanghe
alla carrozza del suo re.
Io vorrei che a Metternicche
gli tagliassero le budelle
vorrei farne le bretelle
per le scarpe del suo re.
Io vorrei che a Metternicche
gli tagliassero i coglioni
vorrei farne dei bottoni
per la giubba del suo re.
-Anonimo-
(Canzone cantata dai volontari toscani in marcia sulle pianure di Mantova nel 1848.)
- un’ EVVIVA x TUSCAE GENTES -
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