Risorgimento e difesa del lavoro

Creato il 25 novembre 2013 da Rodolfo Monacelli @CorrettaInforma

Rispettiamo il sacrificio affrontato dai nostri Padri fondatori, durante le lotte per il Risorgimento e per l’unità nazionale

L’epopea degli ideali e dei sentimenti ispiratori del Risorgimento nazionale iniziarono da Napoli, dove personaggi come Guglielmo Pepe, Michele Morelli, Giuseppe Silvati raccolsero il grido di libertà dei moti di Cadice e lo fecero proprio infiammando gli animi e dando il via all’ormai irreversibile processo unitario nazionale.

Allora Carlo Pisacane, poi protagonista del tragico tentativo di sollevare il popolo contro i Borboni con lo sbarco di Sapri, aveva due anni. Al fallimento dell’impresa di Pisacane sul piano militare corrispose, però, un trionfo su quello ideologico ed epico, paragonabile per la monarchia delle due Sicilie a una battaglia perduta, così come era stata per l’Austria la pubblicazione de “Le mie prigioni” di Silvio Pellico.Dico questo non per rivendicare al Meridione una primogenitura risorgimentale, ma per sottolineare come, proprio nei tempi in cui l’Italia era stata da poco definita “un’espressione geografica”, quando il nostro Paese sembrava più che mai voluto diviso dalle decisioni del Congresso di Vienna, tutti quelli che si consideravano già italiani seppero dare lo slancio decisivo per la costruzione di una patria comune più grande ed unita.

Il desiderio dei patrioti di vedere il tricolore attraversare il Ticino, confine tra il Regno di Sardegna e la Lombardia, non fu esaudito che nel 1848 e, definitivamente, nel 1859, per poi farlo sventolare, l’anno seguente, in tutto il Sud della Penisola. E non fu certo facile né indolore far convivere le varie anime di questo amor patrio unitario. Da Carlo Alberto, l’Italo Amleto, al figlio Vittorio Emanuele, deciso e militaresco. Dal tessitore Cavour al condottiero Garibaldi, all’ideologo Mazzini. Dai fratelli Bandiera, martiri del vallone di Rovito, ai cinque giovani Cairoli, combattenti sul Gianicolo, al filosofo e sacerdote Vincenzo Gioberti, che teorizzava una federazione di Stati italiani presieduta dal Papa.

Pensieri a volte sideralmente distanti, in certi casi diametralmente opposti, che seppero in qualche modo avvicinarsi, integrarsi, fondersi nella convinzione di non voler perdere l’occasione offerta dalla storia e conquistata con anni e anni di lotte, sofferenze, sangue. Anni dei portenti, li chiamava Carducci, che dovrebbero insegnarci molto oggi. In questo Paese un tempo di grandi animi che si sta accartocciando su mentalità di campanile, su logiche che paiono l’estrema volgarizzazione del “particolare” guicciardiniano e della spregiudicatezza di Machiavelli. Cogliamo lo spirito di quello che la nostra storia ha detto, lavorando e garantendo un lavoro ai giovani, tendendo la mano a chi vuole stringerla con sincerità, ritrovando temi alti nel dibattito civile e politico, rifuggendo le semplificazioni della pigrizia e i sofismi della furberia. Solo richiamandoci allo spirito dei padri, che hanno così fortemente voluto unire questa terra nel nome della libertà, dell’onestà, dell’operosità potremo far sì che il nostro Paese torni a tutta la sua grandezza, in un mondo che diventa ogni giorno più piccolo.


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