Una cosa è certa: “quando tutto questo sarà finito” – per utilizzare la formula di Gustavo Zagrebelsky su la Repubblica - non potremo e non dovremo ritornare al punto di partenza e dire: heri dicebamus. Perché l’origine di “tutto quanto sta accadendo” – questa volta la formula è mia - sta proprio in quanto dicevamo (dicevano) ieri. Se oggi abbiamo una democrazia incerottata lo dobbiamo non a un colpo o colpetto di Stato, ma a un’inconcludenza della vita politica e partitica della Seconda repubblica che ha promesso l’impossibile e non ha mantenuto neanche il possibile. Anche Zagrebelsky in fondo, nel suo editoriale di ieri, lo ammette, solo che lascia intendere, anzi, lo dice in modo esplicito fin dal titolo, che di fatto ci troviamo in una “democrazia senza partiti” e in uno “stato d’eccezione”. La democrazia “senza partiti” a cui fa riferimento l’editorialista, pur salvando la forma delle regole Costituzionali, sarebbe di fatto la sospensione della vita democratica e una parentesi tra un “prima” e un “dopo”: il prima e il dopo sarebbero la democrazia, mentre nel “mezzo” ci sarebbe una soluzione che non è anti-democratica ma è comunque eccezionale o straordinaria ossia fuori da ciò che è ordinario.
L’analisi di Zagrebelsky presta il fianco a più di una critica. La prima riguarda la correttezza istituzionale da cui è nato il governo Monti. Un esecutivo – è bene ricordarlo - che non solo gode della fiducia del Parlamento ma, soprattutto, un esecutivo che come tutti i governi della Repubblica sta in piedi proprio perché votato dalle Camere. Nessun governo è stato eletto direttamente dal popolo, come invece si è detto e a furia di dirlo e ripeterlo per oltre tre lustri si è giunti a credere a una finzione. Il governo Monti è nato dal funzionamento delle istituzioni e invece di costituire un’eccezione rappresenta la conferma che le istituzioni repubblicane possono ben funzionare se i partiti non le occupano e ne incarnano lo spirito.
La seconda critica riguarda l’idea stessa di eccezione o, meglio, di parentesi democratica. Tutto quanto stiamo vivendo non va visto come una parentesi bensì come il risultato del fallimento della politica bipolare fondata sulla fiducia/sfiducia in un leader piuttosto che in una storia nazionale e in valori politici e civili. Un rapido riepilogo di quanto accaduto ce lo conferma in modo disarmante: s’iniziò con il centrodestra che naufragò presto, quindi vinse il centrosinistra che s’incartò, quindi rivinse il centrodestra che non realizzò le già datate riforme, fu di nuovo la volta del centrosinistra che s’incartò un’altra volta, quindi riecco il centrodestra e riecco l’ennesimo fiasco. A questo punto, in nome del dogma o finzione populista del governo scelto direttamente dal popolo che cosa si sarebbe dovuto fare: riandare al voto e ricominciare la micidiale, inconcludente, pericolosa, dannosa altalena? Il rischio serio per la vita democratica non sarebbe venuto proprio dalla dimostrata incapacità di due gruppi dirigenti a trasformare in governo del Paese il voto dei cittadini?
Ecco perché il governo Monti non va visto come una parentesi ma come un’occasione storica per il rilancio della vita politica e più ampiamente pubblica dell’Italia. Certo – e qui Zagrebelsky ha ragione - “quando tutto questo sarà finito”, cioè quando la legislazione giungerà alla sua scadenza naturale i partiti non dovranno farsi trovare impreparati. Quale il loro compito? Niente di nuovo sotto il sole: svolgere il ruolo di rappresentanza e incarnare le istituzioni resistendo all’eterno peccato di tracotanza che è al contempo origine e significato della loro esistenza.
tratto da Liberal del 13 dicembre 2011